Allora, eccoci a Zubiri, terzo giorno di cammino, paesino della Navarra, a pochi chilometri da Pamplona, infatti piccolo villaggio, piccolo villaggio di 400 e forse 500 abitanti, castellazzo dei Barzi spagnolo, adesso mai, oggi ha piovuto, anche che c’è stata una giornata in cui abbiamo scampato l’acqua per qualche ora, però è infatti la fortuna voluto che noi siamo fermati prima che piovesse, poi è venuta parecchia acqua, poi è venuto un bel temporale fino alle 5 e mezza e niente, quindi tappa di collegamento, un po’ di salita, un po’ di discesa, ma tutto sommato tranquillo, sì, bello perché comunque era sempre dentro questi boschi molto fitti, quindi ombreggiato, fresco e si è camminato proprio bene, quello sì.

E quindi pensando, ci siamo accorti già ieri a Roncisvalle, queste enorme albergue che ospitava 200 persone forse, di quante soprattutto, come abbiamo detto anche ieri, sulla tavolata cui eravamo seduti con un sacco di persone, c’erano americani, c’erano coreani, giusto coreani, un po’ di italiani, italiani molto rappresentati su questo cammino, una svedese, una svedese certo, al tavolo avevamo anche una svedese, una ragazza studentessa svedese in pausa e niente, ci è venuto in mente, proprio partendo stamattina dopo una sveglia molto brutale alle 6, spaccate, alle 6 si accendono le luci e ci hanno detto buongiorno, è ora di andare a mungere, esatto, buongiorno, come se dovessimo andare a mungere.

Niente, quindi vedendo tutte queste nazionalità, io in particolare poi appena siamo partiti fuori dalla collegiata, ho pensato chissà quante di queste persone nella propria vita magari non vivono nella nazione da cui provengono, ma si sono trasferite altrove e hanno magari deciso di venire a fare in Europa proprio questo cammino, questo quasi famoso, perché effettivamente è super super celebre e super affollato come stiamo vedendo in questi giorni, con una prevalenza, almeno girando un po’, effettivamente a parte italiani, asiatici, molti, tanti americani, tanti americani sono molto attratti da questo percorso, da questo cammino e quindi c’è partita questa riflessione, questa quest’idea, questa riflessione sull’essere expat alla fine, cioè sul cosa vuol dire veramente, o meglio, la vera domanda è quale posto possiamo chiamare veramente casa, quindi e qui ovviamente si aprono due punti di vista molto molto opposti, perché io sono un expat che da otto anni non abito più, non vivo più nel paese, non vivo e lavoro più nel paese da cui provengo e quindi pensavo, però continuo a guardare al paese da cui provengo con, devo dire ad alti e bassi, non è una cosa cosante, con molta nostalgia diciamo così, e quindi che cos’è che ci fa sentire veramente casa in un posto?

Difficile da dire.

Una bella riflessione, infatti tu hai citato anche un esempio di un tuo amico o barra conoscente che appunto sembra quasi che ci sia una porta e nel chiavestello di questa porta, in qualche modo questa porta non viene mai chiusa totalmente e rimane sempre aperta, per cui sembra quasi che c’è sempre un collegamento tra il paese d’origine e dove si è adesso e quindi non si è mai veramente fuori da casa e si è veramente staccato da dove…

dal paese d’origine, rimane sempre un qualcosa che ti ancora dove sei.

Esatto, finché non chiudi questa porta, perché la metafora di questa porta era per dire che casa è un posto in cui mi posso chiudere dentro, ok?

Casa è un posto in cui non entrano spifferi dal mondo esterno, da un altro posto, da un altro luogo, ok?

Quindi mi sento al sicuro finché non mi chiudo dentro, quindi finché io vivo altrove, però guardo al mio paese, ascolto quello che succede lì, leggo magari giornali, torno a casa per frequentare delle relazioni, per andare al cinema, anche cose molto più banali, per andare al dentista, non lo so, vabbè, a parte queste cose stupide però anche cose più importanti, cioè, coltivo qualcosa in quell’ambiente lì, in quel paese lì, ok?

Allora è come se non chiudessi mai questa porta, e se non chiudo questa porta, come potrò sentire la mia casa?

Cosa tua sarà sempre, esatto, casa tua…

continuare a guardare…

mi chiedo fin quando questa cosa qui può andare avanti, nel senso, se uno può sopportare questa sensazione di stare in un posto che non chiamerà mai casa, per quanto stai lì, per quanto puoi integrarsi, per quanto puoi imparare la lingua, ci saranno delle cose che ti lasciano…

finché veramente non riesci a fare questo gesto che, metaforicamente parlando, non so a che cosa equivalga nel mondo reale, chiudere questa porta e dire, ok, io adesso sto da questa parte e non da quella, il che non vuol dire che non tornerò mai più di là.

Guarda, secondo me, l’unica cosa che mi viene in mente per cui uno potrebbe poi, diciamo, chiudere definitivamente questa porta e risentirsi a casa è costruire una famiglia, cioè nel momento in cui tu costruisci una famiglia allora probabilmente in quel momento lì la porta la chiudi, ecco, hai sempre magari una linea di contatto con la tua famiglia d’origine ma in un altro modo, ecco, creanti una famiglia tua in un posto che non è più il paese d’origine, credo che ti dia quella stabilità e quel confinamento in una dimensione che puoi chiamare casa.

Beh, sicuramente le relazioni fanno molto, è vero anche che per poter trovare una relazione del genere, come la vedo io, è che devi essere un po’ radicato nel posto per, diciamo, metterti a cercare il terreno per poter coltivare una relazione che poi possa portare una famiglia, altrimenti, e quello è un po’ un gatto che torniamo al punto di partenza, non fai quell’investimento finché non ti senti un po’ più a casa, è una cosa difficile insomma, la definizione di Ex, però sono stato molto contento perché sia leggendo questo libro di questo amico, di questa persona che conosco, sia poi facendo questo discorso ho detto, ah, forse però non sono solo, non sono l’unico che la pensa così, anzi, credo che ce ne siano molti, siamo detti…

Penso proprio di sì, anche se non l’ho provato sulla mia pelle, perché come esperienza personale non mi porta a poter avere un punto di vista, diciamo, o meglio, ho il mio punto di vista, ma non so come dire, non è oggettivo, è un punto di vista non su qualcosa di vissuto da parte mia, ma semplicemente analizzando quello che, ad esempio, Edo mi dice, o qualcun altro, io essendo sempre vissuto nel paese d’origine, non posso…

Solo una domanda per chiudere, ti dico, ma chiudiamo prima di arrivare poi a Pamplona domani, quindi vedremo cosa ci riserverà il pet, la tappa di domani, che dovrebbe essere abbastanza piano, tranquilla, ci sarebbe qualcosa che ti spingerebbe a dire lascio il posto in cui ho sempre vissuto e me ne vado a vivere altrove?

Ci sarebbe qualcosa, magari in questo anno, che hai intenzione di esplorare o portare il tuo, come dire, uscire da magari la zona di comfort che è proprio il tuo paese, lo stare a casa mia, vicino ai miei, o quello che è, o comunque nel mio paese?

La risposta potrebbe essere, come dicevo prima, probabilmente una relazione, una relazione o il fatto di voler in qualche modo crescere come persone, quindi fare bagaglio di esperienze e finché sei nella tua zona di comfort non riesci a farlo.

Non succede.

Non riesci a farlo, per cui forse questo.

Ok, bene, allora appuntamento domani e a Pamplona! Buon cammino, come si dice qua!