Dettagli tappa
Partenza Rifugio Capanna Cervino, 2084 m
Tappe intermedie Rifugio G. Volpi al Mulaz, 2570 m
Arrivo Passo Valles, 2030 m
Lunghezza 21 km
Dislivello +1308/-1307 m

Salite sulla cima di una montagna e piangendo ricercate una visione.

—Proverbio Sioux

Il titolo non lascia dubbi su quale opzione abbiamo scelto. La variante proposta da Michele, cuoco e fotografo di Capanna Cervino, era troppo più interessante della tappa del Sentiero Italia, tappa che noi avevamo già accorciata per questioni organizzative: anziché fermarci al passo San Pellegrino, abbiamo accorciato di quasi metà a Passo Valles, il confine tra Veneto e Trentino.

Dopo una colazione da re – in assoluto la migliore finora – rifacciamo gli zaini, salutiamo Elena, gestore del rifugio dicendole che saremmo andati verso il rifugio Mulaz, e lasciamo il Capanna Cervino poco prima delle nove. Dopo alcuni tornanti su strada forestale (stavolta gli scarponi li avevamo già indosso visto che avremmo dovuto salire su un vero sentiero dopo pochi chilometri) raggiungiamo la Baita Segantini, per poi continuare sulla stessa forestale che scende nella Val Venegia. Il nome di questa piccola valle, dedicata quasi totalmente a pascolo, deriva dalla città di Venezia, la Repubblica Marinara che comprava in esclusiva il pregiato legname.

Pascolo val Venegia

Il sentiero originale della tappa prevedeva di attraversare l’intera valle, risalire fino alla forcella Venegia, e poi scendere a passo Valles. Noi invece, non appena conclusa la discesa dalla baita, abbiamo preso subito sulla destra la deviazione per il rifugio G. Volpi di Misurata al Mulaz.

È un sentiero escursionistico ben diverso da quello previsto dalla tappa del Sentiero Italia. Non camminiamo molto prima di cominciare a salire a un buon ritmo, inizialmente tra un misto di massi e pini, poi soltanto fra rocce bianchissime che ci ricordano ancora una volta che qui, tanto tempo fa, doveva esserci il mare. Dovendo prendere poco più di seicento metri di dislivello in circa tre chilometri, il sentiero comincia a stringere i tornanti e salire rapidamente. Facciamo soltanto una pausa acqua appena prima di terminare la parte in ombra e arriviamo al Passo Mulaz (2619 m) in due ore e venti.

Passo Mulaz

Da qui, dieci minuti di discesa ci portano al rifugio, ma già a metà di questo sentiero di collegamento notiamo l’indicazione per la vera meta di questa impegnativa deviazione: la vetta del Monte Mulaz. Arriviamo al rifugio, abbandoniamo gli zaini, tiriamo un sorso d’acqua, e prendiamo la traccia di sentiero che sale in vetta.

Rifugio Mulaz

Sono altri 500 metri di dislivello, tra roccette, canalini, e un paio di traversi un po’ esposti ma che si possono percorrere senza particolari difficoltà. Da evitare, però, se si soffre di vertigini.

Edo contempla

Un balcone sul Mulaz

Non solo i 2906 metri del Mulaz sorpassano l’altra vetta che abbiamo salito, ma ci portano su un balcone strepitoso sulle Pale, la Marmolada, l’Antelao, il Civetta. Anche la catena del Lagorai e le Dolomiti di Brenta si riescono a intravedere in lontananza.

Vetta del Mulaz

“È obbligatorio suonare la campana” ci aveva detto Michele, e così facciamo – finalmente un oggetto in vetta con cui si può interagire, non la solita croce. Scambiamo due parole con un paio di altre persone che sono lì per lo stesso motivo: ammirare e contemplare il panorama, grazie anche alla bella giornata sebbene il cielo non sia proprio terso – si nota una certa umidità nell’aria tipica del caldo afoso che è già arrivato giù in città.

Peaks 1 Peaks 2

Un signore sulla sessantina sembra conoscere a menadito qualunque pizzo, vetta, o cima si possa distinguere da lassù. Ci chiede una mano per confermare la sua buona memoria quando si accorge che abbiamo un’app sullo smartphone che ci ha permesso di scattare quelle due foto là sopra. La moglie prova a obbligarlo a mangiare almeno un paio di cracker, ma lui è troppo estasiato dal riconoscere tutte queste cime, molte delle quali ha probabilmente salite quando era più giovane. “Se non ti sazia questo panorama, cos’altro?” ci dice.

Chiacchieriamo brevemente anche con una donna – anche lei tra i cinquanta e i sessanta – che ci chiede di farle una foto mentre suona la campana di vetta. È salita da sola e ci racconta che andare in montagna in solitaria è una sua passione da tempo – era in cima alla Marmolada la settimana prima del ben noto crollo di un pezzo del ghiacciaio, e ci confida più volte quanto si senta fortunata. Adesso che è in pensione, ci dice, ha parecchi progetti in cantiere che vorrebbe realizzare; noi gliene abbiamo regalato un altro parlandole del Sentiero Italia. Ci salutiamo (noi abbiamo una certa fame), con lei che si congratula con noi per aver fatto già tutta questa strada, su e giù per le montagne trentine. Giù diritti, quindi, e in mezz’ora ritorniamo sul sentiero per il rifugio dove ci rifocilliamo come si deve con un abbondante piatto di pasta – anche se Federico si è lamentato del troppo aglio nel suo piatto di tagliatelle ai funghi.

Il Passo Valles è ancora lontano: dobbiamo aggirare tutto il massiccio conico del Mulaz per andare a riprendere il Sentiero Italia nel punto in cui esce risalendo dalla Val Venegia.

Ore 14:53 siamo già in marcia, e i primi due-tre chilometri sono da percorrere con calma: è un tratto molto ripido, con alcuni passaggi su roccia e un paio di canali (tutti ben attrezzati però, serve la solita buona dose di attenzione). È un pezzo molto scenico dell’Alta Via n. 2 delle Dolomiti, che nel senso di marcia arriva al rifugio Mulaz risalendo proprio questo canale.

Alta via n2

La deviazione è stata meravigliosa, ma non certo a costo zero: arriviamo alla Forcella Venegiotta (quanta fantasia nei nomi di selle e passi qui), in cui si conclude il pezzo tecnico dell’Alta Via, e la stanchezza si fa ben sentire; i piedi si lamentano di essere ancora costretti negli scarponi, ma ci mancano ancora almeno due chilometri prima di incrociare il Sentiero Italia.

Non incontriamo anima viva (esclusi alcuni gruppi di vacche equilibriste1 al pascolo) fino all’ultima forcella: indovinate come si chiama2? Secondo il GPS, abbiamo percorso altri 2.6 chilometri. “Sembrava molto di meno sulla mappa”, ci diciamo, ma è la solita ovvietà di chi crede che segnare accuratamente una traccia su una mappa digitale ti sconti una parte della fatica che dovrai fare nel percorrerla, quella traccia.

Dalla forcella vediamo già il rifugio/albergo al Passo Valles, ma ci mancano ancora un centinaio di metri da scendere per arrivare a quota duemila. Ormai piedi e gambe vanno verso il basso grazie all’inerzia moltiplicata per l’affaticamento muscolare, e in meno di mezz’ora siamo al passo con un tempismo perfetto: mettiamo piede in camera – una minuscola tripla che è abitabile da sole due persone – e comincia a piovere, l’unica perturbazione veramente attiva che abbiamo incontrato da inizio settimana. Nota di merito al rifugio Valles per una cena davvero abbondante: abbiamo dovuto bere due tisane al finocchio a testa per digerire e riuscire ad andare a dormire, nonostante i venti chilometri e passa camminati.

Cosa ci aspetta domani

Altra tappa leggermente modificata rispetto al percorso del Sentiero Italia. Dovremo prima raggiungere il Passo S. Pellegrino (circa 8 km), passare dal villaggio alpino di Fuciade – una delle località più frequentate della Val di Fassa – e da lì salire fino al Pas de le Cirèle a duemila seicento metri. Dal passo, dopo seicento metri di discesa nella Val de le Cirele, arriveremo al Rifugio Contrin, ultimo pernotto in un rifugio alpino.


  1. Tutto vero, non è un nome inventato né una nuova specie di vacca. Generazioni di bovini allevati nei pascoli ripidi di queste valli hanno sviluppato un istinto naturale spiccato per individuare e percorrere sentieri tracciati da caprioli, camosci, e altri animali abituati a camminare su terreni che a noi umani sembrano impensabili. ↩︎

  2. Forcella Venegia, ovviamente ↩︎