Dettagli tappa
Partenza Rifugio Contrin, 2012 m
Arrivo Arabba, 1645 m
Tappe intermedie Rifugio Castiglioni, 2045 m; Rifugio Padon, 2407 m
Lunghezza 20.7 km
Dislivello +908/-1283 m

La Cresta del Padon appartiene geograficamente al gruppo della Marmolada, anche se si discosta sia morfologicamente che cromaticamente dal resto del complesso montuoso. Qui, infatti, non dominano chiari calcari bensì scure rocce vulcaniche che fungono da fertile terreno per smeraldine praterie d’alta quota. L’ultima tappa della variante trentina si presenta non troppo faticosa, con una salita molto frequentata e una seguente discesa che sorprendentemente sa regalare degli attimi di intimità davvero impensabili al cospetto di impianti e piste da sci. Il punto di forza di questo percorso è indubbiamente quello panoramico, con lo sguardo che difficilmente riesce a scostarsi dal bianco velo della “regina” Marmolada prima e dal castello roccioso del Sella poi.

L’ultima tappa di questa nostra traversata trentina è ancora una modifica del percorso originale del Sentiero Italia: combineremo la tappa di collegamento che dal Rifugio Contrin porta al Rifugio Castiglioni con quella che taglia il versante opposto alla parete settentrionale della Marmolada, un vero e proprio belvedere sulla Regina delle Dolomiti.

Dopo una notte abbastanza ristoratrice e tranquilla – nonostante fossimo in una camerata da nove – quando arriviamo in sala da pranzo alle 7 e 30 la troviamo già piena; perciò dividiamo il tavolo con due ragazze canadesi1 che sono venute da Calgary, in Alberta, per farsi un giro sulle nostre Dolomiti: stanno percorrendo il nostro stesso percorso in senso inverso, dirette a Passo Rolle passando per Passo Valles. Sono rimasto davvero stupito dalla loro scelta, ma è pur vero che le Dolomiti sono patrimonio UNESCO e sono mete parecchio celebri oltre i confini italiani – in fondo, non è molto diverso dalla scelta di un europeo di andare a fare trekking sulle Ande cilene o la Sierra Nevada in California.

Vetta lunare

Dopo colazione, salutiamo le due ragazze al momento di chiudere gli zaini, e alle 8:31 siamo già sul sentiero 602 che scende attraversando la Val Contrin – altra valle totalmente votata all’alpeggio – fino al piccolo abitato di Alba, frazione di Canazei, ultimo paese della Val di Fassa. Il sentiero è in realtà una strada carrozzabile che permette di raggiungere il rifugio in fuoristrada (il permesso è riservato alle attività del rifugio), perciò riusciamo a fare un paio di scorciatoie per abbreviare la discesa, anziché seguire tutti i tornanti.

Prendiamo una deviazione quando siamo ormai a quota 1500 metri e ci dirigiamo verso Penìa, altra piccola frazione di Canazei. Da qui, il Sentiero Italia comincia a risalire il torrente Avisio, corso d’acqua d’importanza geologica notevole avendo scavato la Val di Fassa, la Val di Fiemme, e la Val Cembra prima di buttarsi nell’Adige. Sul sentiero che lo costeggia e che riprende lentamente quota, ci sono numerosi pannelli illustrativi che spiegano la storia dei paesi che sono nati intorno al torrente, dei ritmi stagionali che lo caratterizzano, nonché la flora e la fauna che lo popolano. È un tratto abbastanza riposante2 della doppia tappa di oggi.

Il sentiero attraversa un paio di volte e affianca per alcuni chilometri la strada statale in direzione del lago di Fedaia (e l’omonimo passo); poi si discosta definitivamente e rimane più in basso, attraversa lo spazio aperto di un pianoro chiamato Pian Trevisan, e raggiunge l’inizio del sentiero 605 nei pressi di un hotel alpino. Qui si comincia a fare sul serio perché il sentiero s’inerpica subito fra sassi e alti gradoni rocciosi, spianandosi dopo circa cento metri di dislivello. La salita riprende più dolce e graduale, in un ambiente boschivo perfetto per l’ennesima giornata molto calda, fino a raggiungere il Col Ciampè (circa 1850 m). Da qui, ormai al limite del bosco, percorriamo un ultimo tratto ripido che ci porta proprio sotto allo sbarramento della diga del lago di Fedaia vicino alla quale si trova il rifugio Castiglioni Marmolada. Siamo già ben oltre l’ora di pranzo, perciò ci concediamo una pausa più lunga e un pasto veloce al rifugio (gnocchetti al ragù di cinghiale e carne salada trentina).

Dopo pranzo, Federico si sente obbligato a fare un pit stop al lago artificiale per provare a recuperare il tono muscolare di gambe e piedi – entrambi ci hanno portato per più di 90 chilometri dalla Val di Fiemme – e anch’io provo a cercare un po’ di sollievo al ginocchio acciaccato.

Edo nel Fedaia

Decidiamo di modificare anche la tappa del pomeriggio per fare meno dislivello in salita: taglieremo il pezzo di sentiero che passa per il rifugio Luigi Gorza – altro autogrill invernale delle piste che scendono da Porta Vescovo – e andremo direttamente al rifugio Padon, prendendo una traccia di sentiero che sarà un po’ da inventare nel primo tratto.

Il primo pezzo della variante è giusto segnato nel punto in cui devia dal sentiero principale che porta al rifugio Gorza. Abbiamo però la mappa digitale, il GPS, e sappiamo in che direzione dobbiamo andare. Dobbiamo soltanto seguire la traccia a mezza costa – chiaramente un terreno battuto da capre e pecore – e prendere quota fino a circa 2400 metri. Incontriamo un paio di persone che hanno deciso di fare la stessa deviazione al contrario, e ciò ci convince di essere sul percorso giusto, anche se in alcuni punti l’unica traccia è solamente l’erba calpestata da chi è passato prima. In cambio, però, abbiamo la fortuna di poter ammirare il versante nord della Marmolada in tutta la sua vastità.

Marmolada nord

È impossibile non notare due cose. Si riesce a distinguere3 il punto in cui si è creata l’enorme voragine in seguito al distacco di inizio luglio: assomiglia molto all’ingresso di una caverna, ma si capisce che la geometria originale di quella parte di ghiacciaio è stata profondamente modificata da un evento improvviso. È anche innegabile la condizione pietosa del ghiacciaio: la seconda foto mostra chiaramente una lingua del ghiacciaio coperta con teli bianchi nella speranza di poterla salvare.

Ghiacciaio Marmolada
La parete nord, da un'altra angolazione e con un obiettivo che ci avvicina di più. Sulla sinistra, si nota la lingua di ghiacciaio ridotta allo stremo e coperta dai teli riflettenti la luce solare.

Due numeri, così per dare un’idea dello stato attuale:

Le ultime indagini sullo spessore del ghiaccio con georadar rivelano come l’intero bacino abbia ormai perso l'80% del proprio volume, passando dai 95 milioni di metri cubi nel 1954 ai 4 milioni attuali4.

Alcune ottimistiche previsioni sperano di mantenere il ghiacciaio per i prossimi 30 anni. Osservandolo dal vivo per la prima volta, noi due ci siamo detti che sarà già tanto se la parte più alta resisterà per altri 15 anni.

Marmolada nord selfie

Attraversiamo (letteralmente) un gregge di pecore che si muove verso prati più alti e, dopo essere ritornati su sentiero ben segnato – quello che avremmo percorso se fossimo saliti fino al rifugio Gorza – arriviamo al Passo del Padon in cui converge l’omonima cresta e su cui si sviluppa una famosa ferrata nota come Sentiero delle trincee. Qui si nota subito come le rocce siano di tutt’altra specie rispetto alle Dolomiti: si tratta di scure rocce vulcaniche che hanno favorito la crescita delle praterie in quota, adesso colonizzate da greggi di pecore. Mentre dal passo ci avviciniamo all’ultimo rifugio lungo un sentiero pianeggiante, notiamo anche dei massi conglomerati, abbastanza diffusi in questa zona: si tratta di rocce composte da una matrice di origine dolomitica e dal materiale di sgretolamento degli antichissimi edifici vulcanici che si trovavano in Val di Fassa. Pur non avendo la minima competenza in materia, è difficile non prestare attenzione alle “opere” di questo museo geologico a cielo aperto, che espone quasi 250 milioni di storia della Terra.

Al rifugio Padon la stanchezza si fa sentire parecchio. Beviamo due bevande zuccherate e mangiamo l’ultima barretta, ma sappiamo che l’energia necessaria l’attingeremo soltanto dalla certezza che la discesa verso Arabba sarà davvero l’ultima.

Alle tre ci rimettiamo in spalla gli zaini e cominciamo la discesa che sarà prevalentemente lungo piste da sci di Arabba, parte dell’enorme comprensorio del Sellaronda. Dopo un primo pezzo molto ripido che percorre una stretta traccia scomoda su ghiaia, camminiamo quasi in piano fino alla stazione intermedia della funivia, che da Arabba sale alla forcella Porta Vescovo. Inutile dire quanto siamo tentati di prendere la seconda funivia in discesa per risparmiare un po’ le gambe. Alla fine, però, ci ripetiamo il mantra che ha segnato questo trekking sin dall’inizio – “bisogna solo mettere un piede davanti all’altro” – e continuiamo la discesa. Usciamo dalla pista da sci percorrendo un pezzo del Sentiero Geologico di Arabba, e anche questo sentiero non ci fa sconti sulla pendenza. L’unico pregio del seguire lo sviluppo di una pista da sci è che sei sicuro di percorrere la via più breve: arriverai a destinazione senza troppe varianti di percorso, ma probabilmente anche senza più le gambe.

Gruppo sella

Alle 17:32 arriviamo alla stazione di partenza della funivia di Arabba e, prima di orientarci e capire dove sia il nostro ultimo alloggio, ci stringiamo la mano come abbiamo fatto tante altre volte arrivati in cima a una vetta o al termine di una via d’arrampicata: la variante trentina, quella storica5, del Sentiero Italia l’abbiamo ufficialmente conclusa6 🙌 🏔️

Complimenti
La meritatissima birra conclusiva, nel pub più vicino possibile al nostro b&b. Domani ci aspetta la tappa meno desiderata: il viaggio di ritorno in Pianura Padana.

  1. Edoardo si prende il merito di aver iniziato il discorso avendo notato che una di loro indossava una bandana del Banff National Park, un’area di wilderness di più di seimila chilometri quadrati, all’incirca quanto l’intera provincia di Trento, giusto per mettere le cose in prospettiva. Il parco nazionale fa parte di un’area anch’essa considerata UNESCO World Heritage. ↩︎

  2. “Riposante” per modo di dire, visto che già ieri Edoardo si è ritrovato un ginocchio abbastanza dolorante, soprattutto in discesa, forse a causa un piccolo problema ai legamenti. È evidente che non era abbastanza allenato per un trekking del genere. ↩︎

  3. La foto in questa pagina è troppo piccola. Si può sempre cliccarci sopra per aprirla nelle dimensioni originali e ingrandirla un po’, nonostante la qualità sia un po’ scarsa: non è stata scattata con un teleobiettivo particolare. ↩︎

  4. Dalla scheda a pag. 156 del volume 11 della collana Sentiero Italia CAI↩︎

  5. La seconda variante, più recente, del Sentiero Italia è quella altoatesina: dal Rifugio Potzmauer arriva sempre ad Arabba lungo un percorso più a nord e lungo il quale si passa dal Latemar, il Catinaccio, il lago di Carezza, l’Alpe di Tires e di Siusi, fino a Selva Val Gardena, Puez, e infine il gruppo del Sella. ↩︎

  6. A voler essere precisi, non abbiamo percorso la prima tappa della variante trentina, quella che va dal Rifugio Potzmauer a Molina di Fiemme. ↩︎