Seconda giornata di fatica improba perché abbiamo dovuto risalire la restante parte di Mission Creek. Col senno di poi, avrei tranquillamente saltata l’intera sezione. Ora siamo a trenta chilometri da Big Bear, e la tentazione di seguire un paio di persone del gruppo che hanno intenzione di arrivarci domani sera c’è. Però so che il mio corpo non reggerebbe; ci riuscirei, sì, ma pagherei un prezzo altissimo. Per che cosa poi? Arrivare un giorno prima dove? Ho comunque intenzione di fermarmi un giorno e mezzo, perciò la fretta non ha davvero senso. Non vedo l’ora di essere di nuovo in città per potermi riposare come si deve. Mangiare e riposare. Voglio anche fare due conti più precisi di quanto mi è costato finora il viaggio.

Camminando lungo il letto del fiume, ci siamo chiesti più volte dove fosse il sentiero “originale”. Io ho detto che in quel momento non stavamo camminando davvero sul PCT perché non esisteva più, perciò saltare o meno quella sezione non avrebbe cambiato molto. Al che mi è stato risposto: se sei qui perché vuoi camminare dal Messico al Canada, allora conta; devi percorrere a piedi l’intera distanza. Io trovo che un traguardo del genere sia un feticcio: non ci credo che qualcuno possa essersi imbarcato in un viaggio del genere solo per camminare tra due punti arbitrari del globo. Fare un passo dietro l’altro solo per fare qualcosa di diverso o incredibile (da raccontare magari). Il cammino è un contenitore, è un mezzo per un fine: hai intenzione di riempirlo soltanto di passi? O di sabbia, aghi di pino, foglie secche, neve o che altro?

Dino Lanzaretti, un viaggiatore e esploratore italiano che ho scoperto proprio qui sul trail guardando un po’ di suoi video su YouTube, ha detto che un qualsiasi viaggio può fallire solo se lasci che gli altri dettino le regole. Se invece sei tu a decidere perché stai facendo questo viaggio e che cosa ti spinge ad andare avanti, non potrai mai davvero fallire.