Poche foto per una giornata parecchio difficile. Partito benissimo con un sacco di energia e voglia di camminare quanto più possibile per accorciare la distanza da Big Bear, già a metà mattina qualcosa si è incrinata: Fabio è stato male dopo colazione, senza alcun apparente motivo – abbiamo data la colpa a uno Snickers, ma aveva ben poco senso. Nel giro di qualche ora, intorno al momento in cui avremmo voluto fare la pausa pranzo, anche Sarah è stata male, e molto peggio di Fabio. Comincia a farsi strada l’idea più ovvia: acqua contaminata, benché nessuno di noi abbia mai bevuto senza prima filtrarla. Però anche i filtri possono essere difettosi o noi disattenti durante l’operazione – basta poco perché un filtro perda un po’ d’acqua sporca che si va a infilare nella bottiglia di quella pulita. Mentre Sarah è piegata da conati di vomito ogni venti minuti, Fabio e io facciamo un test ai nostri filtri, e tutto sembra okay. Io poi non ho alcun sintomo, avevo appena finito di gustarmi due piadine al tonno.

Mentre proviamo a elencare tutte le cause possibili che ci accomunano, non ci sfugge che dobbiamo fare una scelta e anche rapidamente; sono quelle situazioni in cui, soprattutto in montagna, bisogna avere il coraggio di rivedere o cancellare i propri piani perché gli esiti potrebbero essere infausti. Una strada che porta a Big Bear passa a circa settecento metri da un punto acqua che abbiamo oltrepassato un chilometro e mezzo prima. Con parecchia fatica di Sarah, riusciamo a tornare indietro (ci avremo messo il triplo del tempo dell’andata); mentre Fabio, che nel frattempo sta un po’ meglio, sta con lei al punto acqua, io raggiungo la strada statale nella speranza di trovare qualcuno che si fermi per aiutarci. Dopo una decina di minuti di autostop senza successo, un gippone nero quattro per quattro si ferma, e due uomini di rientro dal lavoro mi chiedono se abbia bisogno: avevo provato ad attirare l’attenzione delle macchine mettendo due zaini a bordo strada, sperando che si intuisse che non stavo cercando un passaggio in città per pigrizia.

L’uomo alla guida è subito gentile e disponibile e convince il socio un po’ riluttante a liberare i posti dietro dai loro attrezzi di lavoro. Gli dico che i due amici sono a settecento metri lungo la strada, così lui decide di portare giù il pick-up fino al punto acqua.

Arriviamo a Big Bear alle cinque passate, tutti e tre allibiti di quanto siano state gratuitamente gentili le persone che finora abbiamo incontrate in prossimità di qualche città. Dopo una doccia, ci cominciamo a chiedere se qualcun altro del gruppo con cui stavamo camminando fosse stato male, e facciamo a malapena in tempo a tornare dal supermercato con cento dollari di cibo (perlopiù frutta e verdura), che anch’io comincio a sentirmi poco bene. Nel giro di un’ora è evidente che mi sia venuta una febbre parecchio alta, anche se non ho gli stessi sintomi degli altri due. Mi bevo una tisana calda, e l’unico posto in cui riesco a stare è sdraiato sul divano nel mio sacco a pelo, nonostante ci siano almeno venti gradi in casa. Non prendo nulla per la febbre – se il corpo la causa, ci sarà un motivo – e mi addormento nel giro di qualche minuto.