Quaranta giorni e quaranta notti
Al quarantesimo giorno sono ancora nel deserto. Un po’ come uno dei personaggi più celebri di uno dei libri più diffusi, letti, e conosciuti in tutto il mondo.
È stata una giornata più lunga del previsto: abbiamo deciso all’ultimo momento di non fermarci al primo campo – non c’era nessuno, ma non avremmo avuta neanche l’acqua – e abbiamo proseguito per altre quattro miglia circa, scavalcando il promontorio che abbiamo salito nel primo pomeriggio e raggiungendo la valle attigua. Sempre deserto, sempre la solita vegetazione. E sempre il solito caldo abbastanza intenso almeno fino alle quattro. Però adesso abbiamo un ombrello – non sempre semplice da allestire in maniera da avere le mani libere.
Ho pensato parecchio allo zaino (ancora), perché mi è venuto il dubbio che potrei avere preso una taglia troppo grande. Potrei aver già perso un po’ di massa grassa proprio intorno alla vita, e ciò spiegherebbe perché la cintura lombare è quasi a fine corsa quando la allaccio con lo zaino a pieno carico (in peso). Non è che abbia molte opzioni: non potrei certo fare un reso di questo che ho usato per un paio di settimane. L’alternativa sarebbe prenderne un altro, ma è davvero necessario? E come faccio coi tempi di consegna? Non ne ho davvero idea perché non ho più avuto internet una volta uscito da Agua Dulce. Meglio pensarci su qualche altro giorno prima di fare un altro acquisto impulsivo.
Il corpo non è proprio al top, anzi: oltre a due vesciche che ricompaiono ogni volta che mi rimetto a camminare – le scarpe mi piacciono, ma i miei piedi non sembrano essere d’accordo – ho un fastidio al polpaccio destro. È una specie di rigidità muscolare, forse una contrattura profonda. E ci mancano almeno tre giorni per arrivare a Hiker Town. Ho scoperto che la fisioterapista itinerante sarà la da mercoledì prossimo, perciò potrebbe essere una buona idea provare a sentire cosa mi dice. Il fastidio all’altra gamba non è certo sparito, ma è certamente diminuito. Forse lo stretching (che però non faccio sempre, di certo non ogni due ore), forse il costante allenamento.
Ieri sera sono crollato quasi mentre finivo di scrivere e non ho detto nulla sul posto in cui ci siamo fermati. Trenta dollari e Farmer John – non si capisce bene che cosa coltivi, probabilmente anche la sostanza di cui fa più uso a giudicare dall’odore della sua macchina – ti lascia vagabondare nel suo “deposito materiali”, perché questo è. Svariati capannoni, vecchi garage di legno, casupole messe in piedi alla bell’e meglio: un incendio raderebbe al suolo tutto, come il terremoto a Norcia ha fatto con la chiesa medievale. Ovunque c’erano quei piccoli insetti che noi chiamiamo forbicine, con due tenaglie sulla coda. Di per sé non fanno nulla, ma invadono qualunque cosa: ne avevo almeno quattro nella maglia e altrettante nei pantaloncini stesi ad asciugare. Senza contare quelle di cui mi sono sbarazzato quando ho sbattuta la tenda stamattina. Non sono serpenti, e non danno così fastidio; però so già che qualche persona potrebbe rimanere inorridita a leggere queste righe. Forse ci siamo abituati a degli standard di pulizia e decoro ben al di sotto della nostra vita normale.