Jack, Rachel, e Wolff: le tre persone che ci hanno dato i tre passaggi in auto da Bishop fino al trail, dove l’avevamo lasciato due giorni fa. È stata abbastanza difficile trovare qualcuno che si fermasse e volesse caricarci, nonostante fosse sabato e la strada principale di Bishop fosse molto trafficata.

Dopo una quarantina di minuti che cerchiamo di attirare l’attenzione di qualche autista, dietro di noi da un vecchio pick-up bianco un signore di età avanzata si sporge dal finestrino e ci chiede dove dovessimo andare.

“A Indipendence e poi su per la Onion Valley”, gli rispondiamo.

“Posso portarvi fino a Big Pine, se volete.”

“Certo, grazie!”

Conosciamo così Jack, vedovo ormai in pensione, era a Bishop per vendere una bicicletta. Ci racconta che una pronipote è stata in Italia, e che anche lui avrebbe voluto viaggiare in Europa. Noi gli raccontiamo un po’ del trail finora: il deserto e il caldo, la Sierra e l’acqua ovunque. Arriviamo a Big Pine, dove ci scarica a un distributore di benzina. Lo ringraziamo e gli auguriamo buona fortuna per una prossima visita medica agli occhi, a cui è stato operato diversi mesi prima.

Di nuovo col pollice in alto sporto oltre il marciapiede – io invece mostravo la bandana della PCT class 2024 – aspettiamo la prossima buona occasione. Un distributore di benzina è un ottimo posto: si fermano un sacco di auto, ed è molto probabile che qualcuno si offra di darti un passaggio. E così è stato: una donna scende da un SUV grigio e, mentre fa benzina, ci chiede dove dovessimo andare.

“Io sto andando a Los Angeles, perciò qualunque punto lungo la strada va bene. Salite”. Secondo giro.

Rachel, forse sulla cinquantina, insegna agli insegnati come insegnare meglio. Perlopiù asilo e scuola primaria. Abita a South Lake Tahoe (ci arriveremo anche noi) e sta andando a Los Angeles per una settimana – non abbiamo capito se vacanza o lavoro. Sono otto ore di macchina, il che ci ricorda quanto sia lunga la California. Anche lei vuole sapere da dove veniamo e perché abbiamo scelto proprio questo trekking. E soprattutto: quanto siamo fortunati ad avere dei posti di lavoro che ci hanno permesso di andarcene per cinque mesi, con la garanzia di tornare e trovare il nostro posto ancora lì. “Qui ti danno sei mesi al massimo per una gravidanza. E due settimane di ferie. Ho sbagliato nazione, lo dico spesso.” Ride. Ci offre acqua e persino una parte del suo pranzo (alcuni sandwich fatti in casa), ma noi siamo fin troppo carichi di cibo. Venti minuti e siamo di nuovo davanti alla fermata del bus di Indipendence. “Good luck and stay safe,” ci saluta Rachel.

Ora mancano solo i venti minuti di tornanti su per la Onion Valley. Giriamo nella via laterale che porta su verso il trail, e vediamo una serie di automobili perlopiù sportive parcheggiate sul lato destro. Ci mettiamo in posa da autostop quando arriva un ragazzo con i capelli lunghi un po’ unti, una camicia a quadri aperta a metà e un paio di jeans lisi e macchiati in più punti. Si presenta come Wolff (no, non risolve problemi), e ci ha riconosciuto come hiker. “Vi posso portare fino alla fine della strada, certo.” Ci dice che anche lui è appassionato di trekking e va spesso nella zona di Berkeley, dove abita adesso – è di Brooklyn però, mezzo canadese. È lì per fare un giro in macchina con alcuni amici. Quando arriva l’ultimo del gruppo su una Chevrolet, carichiamo gli zaini e saliamo sulla sua utilitaria che ha un che di sportivo, ma non è l’Audi TT versione sportiva di un altro del gruppo. Appena partiti, capiamo subito che è una specie di competizione a chi arriverà primo alla fine della strada. Per me è come tornare al liceo quando giocavo a “Need For Speed: Carbon”, un gioco di gare clandestine di auto in cui c’erano degli inseguimenti nei canyon. Tornanti e cambio manuale da azzeccare sempre per non perdere terreno (e quindi punti) da quelli davanti.

Nonostante guidi a velocità chiaramente oltre i limiti, Wolff è molto abile a pilotare la sua sedan. È pure un discreto esperto perché ci spiega il tipo di motore e perché la trazione anteriore non è ideale per un V6 su queste strade (io non ci ho capito niente, Fabio qualcosa di più). Ci chiede in quante nazioni siamo stati (lui solo quattro), e ci dice che vuole senz’altro fare un viaggio in Europa, Italia inclusa. Non riusciamo a capire cosa faccia nella vita, ma alcuni della sua famiglia sono (o sono stati) accademici proprio all’università di Berkeley. Due giorni fa ci avevamo messo venti minuti buoni per scendere a Indipendence; oggi forse otto per tornare su. È stato divertente, va detto. Salutiamo Wolff, che ahimè è arrivato ultimo forse per colpa delle nostre chiacchiere e del nostro peso extra (zaini inclusi), e lui quasi ci ignora mentre raggiunge i suoi compagni di gara. Ci dice solo “good luck”. A noi ora ci aspettano quattordici chilometri e mille metri di dislivello per arrivare quanto più vicino possibile al passo di Glenn. E lo zaino è più pesante che mai.

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