Come previsto, la prima sfida di oggi è stata trovare un sentiero alternativo che ci permettesse di proseguire quanto più possibile sul PCT anche senza il ponte su un grosso fiume, il San Joaquin. Sapevamo che sarebbe stata una mezza esplorazione e una mezza avventura: avendo solo una traccia gps, il percorso reale l’abbiamo dovuto inventare leggendo il terreno e la mappa digitale che avevamo. È stato impegnativo ma anche divertente. Ho rispolverato un pochino le mie (scarse) abilità da climber, attività che ormai ho archiviata e non so se mai ci ritornerò. (E magari un giorno potrei scrivere del perché di questa decisione, ma è un’altra storia.)

Tornati sul trail dopo la deviazione, abbiamo seguito il fiume fino a un altro ponte (questo fortunatamente sopravvissuto) e siamo entrati ufficialmente nella John Muir Wilderness. Nonostante il caldo – eravamo sotto i 2500 metri, abbastanza inconsueto – i boschi di pini longevi, ginepri di stazze a noi sconosciute in Europa, e altre piante almeno centenarie ci hanno regalato tutta l’ombra che desideravamo. E sapevamo già che, prima di poter dichiarare chiusa la giornata, saremmo dovuti salire di nuovo sopra i tremila.

Arrivati al luogo designato, ci sembrava il posto perfetto: qualche lago, boschi a sprazzi che sembrano essere stati messi là apposta. C’era solo un problema: ovunque ci sia acqua, proliferano le zanzare. Ovunque, a frotte che si abbattono su di te non appena ti fermi – e pure mentre cammini, una volta che ti hanno individuato. Fameliche del tuo sangue necessario alle loro preziose uova, non c’è repellente che tenga per più di qualche ora, a volte meno. Sono semplicemente troppe, alcune te le ritrovi sulla pelle senza neanche capire da dove siano volate. Ed è proprio in un ambiente del genere, verso fine giornata, che ci è toccato trovare un posto dove montare la tenda.

Io personalmente ho sbroccato diverse volte. Frustrato per il pessimo terreno sassoso, bersagliato dalle instancabili zanzare, a un certo punto ho preso a calci le mie bacchette da trekking, fondamentali per sostenere la tenda. Al che mi sono detto: non serve a niente esternare rabbia e frustrazione al vento, è uno spreco di energie e tempo. Cosa posso fare per migliorare queste precise condizioni in cui mi trovo? Così ho indossato giacca e pantaloni anti-pioggia, la retina sulla testa, e sono tornato a studiare come piazzare la tenda. Non so quante zanzare avrò avute addosso, ma a quel punto era irrilevante. Ero letteralmente impenetrabile ai loro strumenti, e ciò mi ha restituito la calma che mi serviva per completare il lavoro.

Ne ho di strada da fare per riuscire a trovare subito una condizione di accettazione e calma interiore che mi permettano di comportarmi in maniera razionale ed efficace, evitando di combattere i mulini a vento. Se per quanto riguarda i guadi nei fiumi posso considerarmi un maestro zen di livello otto (su dieci), contro questi miserabili insetti che ci perseguiteranno ancora a lungo mi sento solo a un misero livello due. Ne ho di strada da fare. Intanto: domani affrontiamo il passo di Selden (facile), il guado del Bear Creek (tosto, cercheremo una deviazione più semplice che prenderlo “di petto”), e poi finalmente al Vermillion Valley Resort per cena. Finalmente.