Siamo ormai a circa cinquanta chilometri dal passo di Sonora, il che vuol dire la fine convenzionale dell’Alta Sierra. Oggi è stata la terza giornata campale di fila: lo sapevamo, l’avevamo previsto sulla carta, ma poi la realtà è sempre un’altra cosa.

Ci sono stati quattro saliscendi tosti oggi, quattro valichi e altrettante valli, tre delle quali hanno richiesto di guadare dei torrenti. Quello più impestato è stato il primo stamattina: il sentiero scompare, poi incontriamo un fiume con quattro o cinque rami, ovunque tronchi d’albero caduti a complicare la navigazione. E ovviamente, nugoli di zanzare che aspettavano solo noi. Il secondo fiume problematico è stato prima di pranzo; il problema era la profondità dell’acqua in quasi tutti i punti in cui si poteva attraversare facilmente. Fabio ha deciso di farlo senza scarpe1, io preferisco tenerle per avere un po’ più di aderenza sulle pietre bagnate. Non ho problemi a bagnarmi i piedi, ma voglio evitare di cadere mentre cammino in un fiume dalla corrente tutt’altro che tranquilla. E invece così succede: quando poggio entrambi i piedi su una grossa pietra inclinata di circa trenta gradi – metà di essa era sommersa – le scarpe non mi tengono, e io scivolo come all’acqua park: dritto in acqua, seduto in una pozza fortunatamente poco profonda che mi bagna fino alla vita, compreso il fondo dello zaino. La caduta non è stata dolorosa, anzi, soltanto fastidiosa; mi sono detto che in ogni caso avrei dovuto lavare i pantaloni (ma avrei preferito in lavatrice). Così la pausa pranzo diventa obbligata per asciugare vestiario e zaino; come per contrappasso, l’area al di là del fiume è priva dei fastidiosi insetti, ventilata, e con un sacco di ombra grazie a numerosi alberi.

Dopo pranzo la strada è ancora lunga: ci mancano dodici chilometri per concludere la tappa di oggi e non abbiamo molta scelta se vogliamo arrivare a Sonora domenica. Ci aspetta un’altra (l’ultima) salita, poi discesa, un paio di laghi che sembrano cartoline stupende dalle foto sulla mappa, e un ultimo fiume che si preannuncia facile perché molto poco profondo e lento.

La salita si mostra subito senza troppi sconti: dritta, pendente, continui gradoni alti e scomodi da salire con un solo passo. In più, è il 28 giugno e il sole delle due è abbastanza caldo. So già che berrò entrambi i litri d’acqua che ho ricaricato al fiume. Dopo un’ora e mezzo (forse un po’ di più) siamo in cima, a una sella che ci porta nella valle adiacente senza regalarci nessuna vista. Sembra proprio un intaglio nell’enorme bastione di granito che separa le due valli. Le miglia di questo tratto iniziato a Mammoth Lakes continuano a essere molto dure: anche questa discesa è ripida e diretta, giusto qualche tornante per agevolare chi cammina. Ed ecco il problema a cui ormai ci siamo abituati. Boschi, terreno sempre molto umido per i numerosi torrenti che scendono a valle – molti sono ancora neve di fusione – e una quota ormai abbondantemente sotto i tremila metri: è l’ambiente ideale per le onnipresenti zanzare. Sempre loro, sempre tantissime. Quantità che un europeo non credo sia abituato a vedere in questo tipo di ambiente2. Non puoi fermarti neppure per allacciare le scarpe o per scattare una foto: ne hai subito addosso diverse manciate, come se stessero aspettando solo te. Dove si acquattano, mi chiedo? Come fanno a essere così rapide a trovare un essere umano? Scriverò un post in cui sfatare un po’ di fandonie che si continuano a leggere sul PCT: “le zanzare non sono un problema se ti muovi”. Nulla di più falso. Nonostante tutto, mi fermo comunque quando incontro uno dei laghi: voglio scattare una foto, anche solo per averla nel mio diario. Lascio che mi assalga un manipolo di zanzare, resisto scacciandole dal viso a manate, e scatto la foto. E poi penso: non posso neppure godermi questo posto, questo lago, questo ambiente che amo così tanto. Sono costretto a correre via, inzupparmi di repellente e sperare che duri abbastanza (non lo fa mai). Lo so che è soltanto il periodo: siamo a inizio estate, la neve sta finendo di sciogliersi, c’è acqua ovunque, e le larve di zanzare hanno ormai tutte abbandonato i loro ambienti acquosi per fare ciò che fanno tutti gli esseri viventi (mangiare e riprodursi). Probabilmente tra tre-quattro settimane sarà molto meglio, ma noi siamo qui adesso. E io non riesco a non pensare che questo problema sia una specie di tassa da pagare perché altrimenti sarebbe tutto perfetto, un vero paradiso in terra. E il paradiso probabilmente non esiste, specialmente qui su questa terra.

Sono già pronto a rispondere alla domanda cosa avresti fatto diversamente? Salterei la Sierra per tornarci ad agosto, il mese migliore. Anzi, lo consiglio anche3 a chiunque stia sognando di essere qui, su questo trail così famoso: saltate la Sierra a fine maggio o inizio giugno, e tornate quando potrete godervela davvero; tornate quando sarà esentasse – al netto delle fatiche notevoli per la quota e i dislivelli.

🌎 Where am I?


  1. Lo fa perché vuole a tutti i costi evitare di bagnarsi le scarpe. Da qui il trail name che si è guadagnato: dry feet↩︎

  2. Perlomeno non in Italia. Forse al nord, in qualche paese scandinavo. ↩︎

  3. Non è sempre fattibile, me ne rendo conto. Tutto dipende dalla quantità e distribuzione della neve. ↩︎