Nel sesto libro della saga di Harry Potter, Harry sta seguendo lezioni private da Albus Silente sul passato di Tom Riddle, il mago oscuro con cui sono in guerra. Per conoscere un’importante periodo della giovinezza di Riddle, Harry deve convincere un professore di Hogwarts a confidargli un ricordo. Il professore, abile mago, ha escogitato tutti gli stratagemmi che conosce per evitare che qualcuno possa estorcergli quel ricordo, arrivando persino ad alterare la sua stessa memoria. Una serie di eventi permettono a Harry di impossessarsi di una potente pozione, la Felix Felicis il cui effetto è fin troppo semplice: portare fortuna a chi ne fa uso. Harry riesce così nell’impresa proprio grazie alla pozione. O forse no? Forse è solo il suo credere di avere fortuna a portarlo ad agire nel modo migliore possibile1.

Nel libro “The luck factor” Richard Wiseman argomenta un’idea non certo nuova, ma interessante. La fortuna non esiste davvero, è in buona parte una mentalità, un modo di vedere le cose e ciò che ci accade. Wiseman racconta di un esperimento sociale abbastanza famoso: un gruppo di volontari è diviso in due gruppi in base a quanto i partecipanti si ritengono fortunati nella vita (sul lavoro, con le relazioni sentimentali). Viene dato a ciascuno un quotidiano in cui sono nascosti degli indizi per ottenere un premio – forse una somma di denaro o una vacanza di lusso, non ricordo. L’esperimento si conclude come prevedibile: il gruppo dei fortunati riesce a trovare tutti gli indizi, mentre solo alcuni (pochi) del gruppo degli sfortunati viene a capo del problema. Per di più, coloro che si ritenevano fortunati avevano completato il compito in pochissimo tempo; anzi, avevano barato, proprio come previsto dai ricercatori, i quali avevano indicato in fondo nell’ultime pagine del quotidiano la soluzione del puzzle. Conclusione: i fortunati sono riusciti nell’impresa proprio perché si ritengono tali e si comportano di conseguenza, cogliendo indizi che ad altri non saltano agli occhi. Perché sanno di essere fortunati in qualunque cosa fanno. Ciò significa che il caso non conta nelle loro vite? Certo che no, continua a determinare la quasi totalità delle circostanze in cui devono compiere delle scelte, ma è il modo di porsi davanti a quelle scelte che conta molto di più. Questo è ciò che argomenta estensivamente Wiseman nel libro.

Oggi, giornata di mezzo riposo dopo l’arrivo a Kennedy Meadows North, sapevamo di dover fare una deviazione che ci avrebbe potuto portare via buona parte della giornata: dovevamo andare fino a Bridgeport, a circa trentacinque miglia dal trail, per recuperare un paio di pacchi dalle poste e provare a spedire piccozza e ramponi. Non c’era altro mezzo se non l’autostop. L’avevamo già fatto e ci era sempre andata bene, ma al passo di Sonora non passano tante macchine quante a Bishop, per esempio. Quanto avremmo aspettato? Quanti passaggi avremmo dovuto chiedere? Quanto credevamo di essere fortunati oggi? Io, lo ammetto, ero molto scettico, pessimista, se si vuole dir così. Non eravamo neppure dal lato giusto della carreggiata perché non c’era spazio perché una macchina si fermasse, e probabilmente non ci avrebbero neppure visto.

Passano tre auto senza che rallentino, e io mi convinco che dovremo aspettare un po’. Dalla strada (in forte pendenza) arriva poi una jeep grigia, vecchia di parecchi anni, alla guida un signore oltre i sessanta con la moglie. “Dove siete diretti?” ci chiedono. Rispondiamo Bridgeport. “Ah, anche noi, vi portiamo lì.” Possibile essere così fortunati? O la fortuna non esiste davvero? Questo è senza dubbio una casualità favorevole a dir poco. È così facciamo il viaggio (quaranta minuti) con Mike e Marie, una coppia che festeggerà il cinquantesimo anniversario di matrimonio a novembre. Hanno viaggiato ovunque, in Europa – Italia inclusa, dalla Francia fino in Sicilia in macchina – in tutti gli stati dei Balcani (eccetto la Moldova2), in Buthan, in Thailandia e buona parte del sud-est asiatico. La miglior pizza mai mangiata è stata a Roma, non hanno dubbi su questo. “Cosa vi manca di più del vostro paese?” chiede Marie. “Il formaggio”, rispondiamo, lei ride ma capisce il perché. Qui c’è solo quello buono da mettere negli hamburger.

Quando gli diciamo che dobbiamo andare all’ufficio postale, Marie sprona il marito a guidare un po’ più svelto (lui voleva solo chiacchierare) in modo da arrivare prima di mezzogiorno ed evitare di aspettare un’ora. Prima di scendere dalla vecchia jeep, ci danno il loro numero di telefono: “se doveste avere bisogno di qualcosa a South Lake Tahoe, noi abitiamo a quindici minuti.” Basito, di nuovo, da questa disponibilità gratuita e senza limiti, visto che siamo completi sconosciuti tirati su da una strada. Perché? Cosa spinge persone come Mike e Marie a questo tipo di comportamenti? È stato inevitabile chiedersi ancora una volta perché da noi in Italia non succede (o è molto rara una cosa del genere).

Sbrigate le commissioni alle poste, andiamo a un piccolo ristorante sulla strada, l’unica coi semafori di tutta Bridgeport. Mike e Marie ci avevano consigliato il posto per un gelato; noi però prendiamo una pita greca con carne di manzo, guacamole, pomodorini, cipolle, e patatine fritte. Siamo hikers d’altronde, consumare calorie è praticamente il nostro lavoro. Prima di ordinare, cominciamo a sistemare i pacchi, che guarda caso contengono cibo. Una coppia di uomini sul tavolo a fianco ci ha sentito parlare, ha visti gli zaini, e ci chiedono dove siamo andati o siamo diretti.

“Stiamo facendo il PCT”.

“Dal Messico fino al Canada?”

“Quello è il piano”, è ormai la nostra risposta classica. “Ora mangiamo qualcosa, poi torniamo su a Sonora Pass per riprendere il trail.”

“Sarebbe un onore per noi riaccompagnarvi su al passo, se volete”.

Perché? La fortuna quindi esiste? Dan e John, anche loro in età avanzata, vagabondi a piedi e appassionati viaggiatori. Ci dicono di aver fatto la via Transalpina più diverse escursioni in Svizzera e in Sud Tirolo. Il loro sogno sarebbe il Cammino di Santiago, quello portoghese però – io gli consiglio anche il Cammino del Nord, quello che passa da Bilbao. Ci riportano al passo e parliamo di tutto: dalla politica europea (e americana, com’è ovvio che sia) ai nostri progetti futuri di viaggi. Loro ci consigliano alcune idee di viaggio negli Stati Uniti, adesso che abbiamo un visto turistico. “Noleggiate un camper ed esplorate”, ci dicono. Sembra essere qualcosa che gli europei fanno spesso qui. Quando li salutiamo, a me sembra di aver salutato i miei zii che mi hanno accompagnato a Stazione Centrale a Milano.

Tra le molte cose che mi vorrei riportare indietro da questo viaggio – di cui un po’ fatico a ricordare l’inizio – c’è proprio il desiderio di essere meno diffidente di persone sconosciute, ma più aperto e disponibile, offrendo ciò che puoi dare senza aspettarti qualcosa in cambio. Forse così riusciremo a smettere di credere un po’ troppo alla fortuna, che forse non esiste.

🌎 Where am I?


  1. La Rowling ci fa intendere che la pozione ha sicuramente un effetto sugli eventi casuali, ma quanto hanno contato davvero? ↩︎

  2. Che non fa parte degli stati balcanici, anche se non c’è un accordo unanime su quali siano questi stati. ↩︎