Il giorno extra guadagnato a Lake Tahoe l’ho speso facendo le solite commissioni: ufficio postale e spesa, più il canonico giro in un negozio di attrezzatura dove ho deciso che non avrei sostituito i miei bastoncini da trekking. Non ancora, anche se uno è quasi del tutto inutilizzabile, ma mi serve per sostenere la tenda. Li cambierò alla prossima città, tra quattro giorni.

Ho lasciato il campeggio gratuito poco dopo le otto, dopo una colazione un po’ misera con due muffin al cioccolato e un paio di pentolini di succo d’arancia: non è la mia colazione, non quella che desidero di più quando sono in città. Però l’ho già detto: in California costa tutto parecchio, e un caffè americano più una brioche mi sono costati $8,50. Una coppia di francesi che abbiamo poi incontrato di nuovo all’ostello ci ha detto: “nel momento in cui smetti di camminare, tutto comincia a costare. Il cibo, dormire, farsi una doccia, fare il bucato.” Sì e no, secondo me: il cibo stesso che ti porti nello zaino, pagato tanto o poco, è proprio ciò che ti permette di essere lì e camminare. L’acqua da bere e per lavarsi è certamente gratis sul trail, ma è soltanto metà delle risorse primarie di cui hai bisogno.

Tornando verso l’ostello dopo aver comprato il cibo, discutevo con Fabio del perché non condivido né capisco chi sta facendo un trail tipo il PCT solo per finirlo in tre mesi, o volendo assolutamente camminare almeno venticinque miglia al giorno, o qualunque altro traguardo fine a se stesso. Siamo tutti un po’ competitivi, me incluso, perciò la sfida è una potente motivazione. Ma è, appunto, una motivazione, un mezzo per un fine. Come può il fine essere solo fare quaranta chilometri al giorno? O completarne quattromila in tre mesi? Potrei capire se si trattasse di una qualche forma di competizione più o meno ufficiale, ma non credo proprio che sia questo il caso per nessuna delle persone che stanno camminando sul PCT in queste settimane (o mesi). È certamente una risposta soggettiva, non ne esiste una giusta. Per quanto mi riguarda, non può bastarmi una cosa così effimera come una distanza su una cartina – distanza che potrei decidere di esprimere in un’altra unità di misura e forse perderebbe del tutto senso – e se il bilancio tra fatiche (di vario tipo) e godimento dovesse essere troppo negativo, non avrei nessun problema ad abbandonare o a prendermi una lunga pausa. Così come non ho tempo da perdere a leggere libri che trovo noiosi o scritti male, non ho tempo per continuare qualcosa che non mi dà più soddisfazione. Forse sarò esigente e magari il discorso suonerà astratto o inflessibile a qualcuno. Poco importa; di nuovo, questa risposta è valida soltanto per me. Sto anche pensando che, tra non molto, potrebbe essere arrivato il momento di proseguire per conto mio. Non ancora, ma ci sto pensando da diversi giorni ormai.

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