Novanta giorni
Novanta giorni, cioè tre mesi. Tre mesi lontano dai luoghi che chiamo casa, tre mesi di cammino. Oggi però è stato un giorno di riposo, anche se la testa continua a camminare anche quando il corpo è fermo.
Oggi pomeriggio dovevo ancora preparare il cibo per i prossimi giorni, ma non ne avevo voglia. Mi sentivo in gabbia nella piccola stanza dell’ostello, la calura della giornata non aiutava. E così sono andato a camminare; già, come se fosse una nuova attività. Sono andato fino alla spiaggia pubblica di South Lake Tahoe, ho scoperto che, essendo sabato, entrare costava trenta dollari, così sono tornato indietro. Ma il chilometro e mezzo a piedi mi ha aiutato a capire un paio di cose: se nei boschi della Sierra non mi potevo fermare perché bersagliato dalle zanzare, ogni volta che mi fermo in città mi assale tutto ciò a cui non ho potuto dedicare attenzione lungo il trail. Per esempio: mi sono sentito fuori dal mondo a non sapere nulla di come fosse andato il dibattito televisivo tra Biden e Trump. E poi c’era il blog da aggiornare1, un po’ di contenuti audio da scaricare per averli offline nei prossimi giorni, chiamare a casa per aggiornare i miei, e non so più a quali altre cose volevo riuscire a dedicare del tempo. Io credo che l’unica azione immediata che possiamo fare è smettere di opporre resistenza, lasciare che la pressione si abbassi un po’, e poi pensare che cosa ci importa davvero. Sceglieremo così un paio di quelle cose, e non significa che tutto il resto non conta più nulla; conta un po’ di meno di altro nel preciso momento in cui sto facendo questa scelta. Nient’altro. Arriverà un altro momento in cui sarà il loro turno. Magari faremo una scelta sbagliata, dedicheremo del tempo a ciò che non lo merita, ma va bene così: è anche questo un modo umano (quindi fallibile) di reagire a una situazione che ci chiede più di ciò che possiamo dare.
Più tardi, dopo aver sistemato il cibo e cenato con uno yogurt – non ho fatto molto oggi, e il pranzo delle tre mi ha data energia fino al tardo pomeriggio – seduto sul divano della sala comune, prendo in mano un libro di Heather Anderson, che scopro essere una hiker americana che ha completato tutti e tre i trail a lunga distanza in un anno 2. Ha scritto un paio di memoir, mentre qui all’ostello ha lasciata una copia firmata di “Bonus Miles”, una collezione di post dal suo blog e parti tagliate o editate di altri libri pubblicati. Lo apro a caso, ed ecco la pagina che leggo (la traduzione è mia):
Mio zio è morto all’inizio di questa settimana. È stato trovato per terra nel suo appartamento diversi giorni dopo il fatto perché non si è presentato al lavoro. Apparentemente è morto a causa di un “evento catastrofico” (infarto, ictus, eccetera). Da solo. Quando l’ho saputo, naturalmente ho cominciato a piangere. Perdere un membro della famiglia è sempre difficile. Ma più di questo, quando la morte colpisce da vicino; quando colpisce quelli che condividono i tuoi geni – o quelli che perseguono le tue stesse avventure – ti ricorda della tua stessa mortalità. Ho a stento dormito da quando l’ho saputo. La mia testa continua a riprodurre l’immagine di mio zio che cade a terra, sapendo che stava per morire, e giace lì fino alla fine. Da solo. Per quanto tempo? Alcuni secondi? Alcune ore? So che non c’è nulla che possa fare per cambiare la storia, ma ancora piango per lui e per le circostanze della sua morte. Piango, non solo per lui, ma perché ho realizzato la mia stessa paura di essere sola. Di morire sola. Questo mi ricorda solo quanto sia possibile. Stranamente, per qualcuno che spesso preferisce correre da sola, fare escursioni da sola, vivere da sola, pensare da sola e semplicemente essere sola, ho il terrore della solitudine a lungo termine. Ma non è così per tutti? Non è questo il motivo per cui abbiamo una quantità infinita di siti di incontri, gruppi per single e una serie di relazioni fallite nel nostro passato? Sono a mio agio con l’essere sola. Non ho bisogno di essere costantemente avvolta e intrattenuta da un altro essere umano, ma quando si tratta di accettazione, amore e il “per sempre”, devo ammettere, voglio qualcuno con me. Specialmente quando morirò.
Il 2011 porterà nuove sfide su come rimanere sola. Mi spaventano, ma in qualche modo devo trovare il coraggio di affrontarle. Vorrei essere stata lì per aiutare Ronnie [mia zia] ad affrontare l’inevitabile così non sarebbe stato sola.
E per favore, non lasciate che accada a me.
-
Che poi ho aggiornato. Però non sono riuscito a scrivere quel post extra di approfondimento sul perché della condensa in tenda, anche d’estate. Lo farò, ma non so proprio promettere quando. ↩︎
-
Impresa che si chiama Calendar Year Triple Crown. Se una Triple Crown è qualcosa per poche decine di persone, immaginate compierla in un solo anno. ↩︎