Altro cambio di programma oggi. Infastidito dall’orario dell’ufficio postale di Seiad Valley che mi ha costretto a buttare via mezza giornata – ma forse avrei potuto pianificare meglio questo stop – mi sono convinto che sarebbe stato meglio essere già ad Ashland, in Oregon.

Così, dopo aver ritirato e rispedito i pacchi, abbiamo deciso di cercare un modo per arrivare in Oregon e ripartire a camminare da là. Non è stato facile, ma alla fine una fortunata coincidenza ci ha fatta incontrare una ragazza che si era resa disponibile a dare passaggi in zona. Un’incomprensione ci ha fatto credere che ci avrebbe potuti portare fino ad Ashland, ma poi scopriamo che c’è una città omonima che non è affatto in Oregon. Nonostante ciò, Ann ci ha comunque accompagnati fino al lodge in cui avevamo deciso di passare la notte.

C’è un grande “però” oggi, perché abbiamo saltato il confine con l’Oregon lungo il trail. Mi sarebbe proprio piaciuto attraversare il confine tra i due stati a piedi, mentre l’ho fatto in macchina. Devo tornare al più presto sul trail perché sto perdendo un po’ di connessione con ciò per cui sono venuto fin qui e che mi ha spinto finora. Forse è un po’ di stanchezza, forse un po’ di preoccupazione per i possibili problemi che i prossimi incendi potrebbero procurare.

Anche se non sono ancora davvero tornato sul trail, ne ho riprese le abitudini dopo i due giorni di detour sulla costa. E mi sono accorto di una cosa: quando parlavo con Ryan, certe volte riemergeva uno strano bisogno o impulso di mostrarmi sempre sul pezzo. Che si parlasse di libri, di algoritmi, di machine learning, o di qualsiasi altra cosa io dovevo essere competente. Mi è sembrata riemergere la sindrome più celebre di tutte, quella di sentirsi un impostore, qualcuno che in realtà dissimula, e deve perciò fare una doppia fatica per convincere gli altri che non è così. Quando però penso al trail, alle mille e passa miglia camminate, a tutte le difficoltà che ho superate, le fatiche che mi hanno piegato e quelle che mi hanno insegnato così tanto di ciò che ancora non sapevo, tutto ciò è dannatamente reale, è concreto, l’ho fatto io e l’ho fatto per davvero. Non mi sentirei mai di essere un impostore parlando del PCT, come potrei? E allora perché in quegli aspetti della mia vita che hanno comportato altrettante fatiche e difficoltà, seppur in altra forma, sento di non essermele meritate? Perché quando ripenso al lavoro mi dico “dove sono adesso è l’unico posto in cui potrei stare”? Perché non credo sia possibile superare me stesso, andare oltre ciò che conosco e sono adesso proprio come ho fatto in questi mesi sul trail?

Sono domande molto aperte perché non ho neppure un indizio di risposta, ma sono sicuro che ci ritornerò. E domani, tornando per davvero sul trail, metterò giù anche il piano più concreto che posso definire ora per il mese e mezzo che mi rimane.

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