Cosa pensano di me gli altri?
Giornata più leggera di ieri, ma sempre intensa. Un inizio in boschi fitti e ombrosi (e pieni di zanzare che tendevano agguati a gruppi), per poi cambiare nettamente ambiente poco dopo i venti chilometri.
Più mi avvicinavo alle Tre Sorelle, più le foreste si diradavano e lasciavano spazio a lunghe distese di sabbia molto fine e scura, rocce tanto leggere che sembrano quelle finte che si usano per il presepe di Natale, e qualche arbusto basso. I boschi riprendono a chiazze – spesso bruciate da qualche incendio – ma non si cammina più in quelle foreste per cui è famoso l’Oregon. Ora sono accampato a un centinaio di metri dal Reese Lake, proprio di fronte alla Middle Sister. Domani mi aspettano un po’ meno di trenta chilometri (e molto meno dislivello di oggi) per arrivare al McKenzie Pass, da cui scenderò in città. Finalmente, perché ho davvero bisogno di un po’ di riposo cittadino.
Forse a causa della mega maratona di ieri (quasi cinquanta chilometri), stamattina sentivo una strana rigidità muscolare alla gamba destra. Così ho considerato l’idea di fermarmi a un resort su un lago da cui saremmo passati, ma sarebbe servita una deviazione di quasi sei chilometri. E se da lì decidessi di non proseguire e andare direttamente in città trovando un passaggio? Cosa penserebbe Fabio di me? E se lo raccontassi ad Alex e Sarah, cosa direbbero? Che sono uno sfaticato? O un debole? Oppure poco convinto di voler continuare?
Così ho cominciato a riflettere: perché ci preoccupiamo così tanto di ciò che gli altri pensano di noi? Risposta semplice: siamo animali sociali, il parere degli altri membri della nostra cerchia sociale conta. Sarà anche vero, ma mi sembra solo un pezzo della risposta. Io sono un convinto sostenitore dell’idea che sono le nostre azioni e i nostri comportamenti a definire chi siamo o chi vorremmo essere. Non certo quello che pensiamo di essere, né tantomeno quello che gli altri pensano di noi o vorrebbero che noi fossimo. Quindi perché ci importa così tanto? Perché il giudizio altrui – che per definizione è un’opinione lecita ma pur sempre soggettiva – riesce a condizionare così tanto il nostro agire? Il miglior comportamento che potremmo avere sarebbe quello di continuare a considerare ciò che mi dicono gli altri, ma non lasciare che ciò sia l’ultima parola su nessuna mia decisione. Mi rendo conto che potrebbe essere estrema come soluzione: ci sono infatti alcune situazioni in cui è fondamentale prendere una decisione in due o più persone – per esempio tra genitori quando c’è di mezzo l’educazione dei figli.
Anche se di norma non seguo assiduamente un evento sportivo come le Olimpiadi, lo sto facendo qui sul trail quando riesco a scaricare qualche puntata del podcast “Tienimi Parigi”, la versione olimpica del podcast quotidiano di Matteo Bordone. Ha un taglio leggero, cerca di approfondire gli aspetti che sembrerebbero più superficiali, ed è un ottimo passatempo per quei tratti più o meno noiosi di cammino. Internet c’è comunque solo a sprazzi, ma ogni tanto basta e avanza. Ed essere indietro di qualche giorno non è una tragedia.
Ho deciso che passerò sabato in città; non so ancora se Sisters o Bend, ma più probabilmente la seconda perché un po’ di più grossa. So che avrò da fare i soliti acquisti per il cibo, ma voglio anche riposarmi. Penso che sia anche arrivato il momento di gestire il resto di questo viaggio per conto mio. Dopo più di cento giorni, credo di essere pronto.