Sono davanti al Timothy Lake ad aspettare che la mia cena sia pronta. Non ho ancora montata la tenda, né trovato un posto dove lo farò. È la prima volta da aprile che non sto per cenare nel posto in cui dormirò. Il motivo? Sono stato un po’ ottimista e credevo che fosse più facile strappare una notte gratis in un campeggio attrezzato; e invece no: avrei dovuto pagare $22 per un posto tenda, quando se proseguissi circa un miglio sarei sull’altra sponda del lago e ci sarebbero molti (spero) posti tenda gratuiti. Perché allora sono venuto qui? Per cercare della comodità? Per ispirare pietà o compassione?

Partito di buonora dal lago Olallie, ho macinato le prime dieci miglia in meno di tre ore. Di questo passo, mi sono detto, arrivo a mezzogiorno al punto in cui avrei voluto fermarmi per la notte. E invece le successive nove miglia sono state una fatica crescente, soprattutto le ultime tre: avevo i muscoli del collo del piede destro che continuavano a darmi fastidio, lo stretching non aiutava. Lentamente, riascoltando Rovelli che leggeva il suo “L’ordine del tempo”, sono arrivato al Whitewater Creek, dove una vespa ha tentato di pungermi dopo che avevamo convissuto pacificamente per tutta la mia pausa pranzo. Erano le due e mezzo passate, ancora qualche dolorino muscolare, ma mi sono rimesso in marcia per le ultime (pensavo) nove miglia. La meta era un horse camp – che è esattamente ciò che sembra – dove ci avrebbe aspettato un po’ di trail magic. Tre ore più tardi ero seduto su una sedia pieghevole da campeggio a bere due Mountain Dew, mangiare Oreo e caramelle, grazie a Dave e Connie, una coppia in pensione che abita a cinquanta miglia e ha ben sei cavalli. I due ci dicono che andranno via in serata, quindi il campeggio nel loro spazio è libero. Io però vorrei arrivare fino al Timothy Lake, perché vorrei riuscire a trovare un posto in un campeggio attrezzato. Alla fine di questa lunga giornata avrò camminato ben più di trenta miglia: ecco un altro traguardo raggiunto senza volerlo, a ormai poco meno di seicento miglia dal Canada.

Qual è stato un lato positivo dell’aver fatto un giro nel campeggio attrezzato? Ho chiesto a una coppia di anziani se una piazzola fosse libera. Loro mi dicono che sì, dovrebbe esserlo per stanotte, ma meglio chiedere al camp host1. Mi chiedono dove stia andando; io gli dico del PCT e da quanto sono in viaggio, e le reazioni sono sempre le stesse, molto apprezzate: stupore, rispetto, ammirazione. Quando ritorno dopo aver parlato con il gestore del campeggio, gli dico che andrò a cercarmi un posto gratis sull’altra sponda del lago. Loro mi offrono uno spazio in piano nella loro piazzola, ma per la prima volta non ho il coraggio di dire di sì. Preparo la cena e nel frattempo vado a lavarmi nel lago; quando torno, trovo una fetta di torta fatta in casa e avvolta in carta stagnola con un biglietto sotto: “a small treat for a traveler”.


Breve digressione linguistica: è interessante notare con quali parole la lingua inglese2 denoti una persona che viaggia. Ci sono ben tre parole (anzi, quattro) che indicano la stessa persona e ne sottolineano caratteri diversi.

La prima, la più simile all’italiano: voyage (e voyager la persona, non il programma tv di dubbia qualità). Arriva dal francese antico voiage, parola che richiama il latino viaticum, cioè le provviste per il viaggio. La radice è la parola “via”, quindi la strada da percorrere. È una parola che indica la componente più materiale di un viaggio.

La seconda è journey, di nuovo importata dal francese antico jornée. Anche qui è facile notare l’assonanza con il moderno journée, ossia una giornata. In questo termine, il viaggio è qualcosa che ha la durata di un giorno, o forse di più. La persona che viaggia è perciò una che dedica tempo, molto tempo, a questa attività. È una persona che si prende del tempo per coprire la distanza che la porterà da un punto a un altro, quale che sia il motivo e non importa quali difficoltà dovrà superare.

“Difficoltà” è proprio il concetto al centro della terza parola inglese: travel. E per la terza volta, c’è un passaggio dal francese travail. In inglese corrente significa “sforzo laborioso”, mentre in francese indica una comune occupazione lavorativa. L’origine è più brutale: viene dal latino trepalium, ossia “strumento di tortura”. Al cuore di travel c’è perciò l’idea meno desiderabile di sofferenza, quella inflitta da una persona a un’altra spesso per puro godimento sadico. Sadismo a parte, un viaggio comporterà inevitabilmente qualche forma di sofferenza, un dolore di qualche tipo.

C’è una quarta parola, forse la più bella, che non arriva dal latino e racchiude tutti questi significati. Proviene dal greco e dà il titolo a uno dei poemi più celebri al mondo: odyssey. La radice è la parola greca odynē, che significa proprio “dolore”. Sappiamo tutti quale storia racconta l’Odissea: il viaggio più lungo, più faticoso, più doloroso di tutti di uno degli eroi più famosi di sempre; un uomo che parte alla ricerca della gloria eterna attraverso la conquista di una terra considerata finora inespugnabile, ma che sulla via del ritorno perde tutto, torna a casa, e scopre che deve riconquistare pure ciò che era suo di diritto. Ecco perché un’odissea è il viaggio epico per eccellenza.


Sorrido e ringrazio la coppia a distanza. Ecco dove non pensavo di trovare quel poco di energia che mi serviva per andarmi a cercare un posto per la notte. Dopo aver camminato per duemila miglia ed essere in giro con uno zaino che contiene tutto l’essenziale, oggi per la prima volta mi sento davvero un viaggiatore.

Tell me about a complicated man.

Muse, tell me how he wandered and was lost

when he had wrecked the holy town of Troy,

and where he went, and who he met, the pain

he suffered in the storms at sea, and how

he worked to save his life and bring his men

back home.

The Odyssey, Book 1, translated by Emily Wilson

🌎 Where am I?


  1. Che però vuole farmi pagare, giustamente. Io rinuncio perché tanto camminare non mi costa molto, vero? ↩︎

  2. Dovrei sentire il parere di un/a linguista, ma non mi risulta che italiano ci sia questa ricchezza di vocabolario. Ci sono diversi termini per indicare il viaggio – tipo “gita”, “escursione”, “pellegrinaggio” – ma mi sembra che siano più varianti specifiche che spesso vengono usate come sinonimi di “viaggio” anche se non lo sono. ↩︎