L’ultima sfida
Non posso sapere se sarà davvero l’ultima, ma mi aspetta l’ennesima prova a cui mi sta sottoponendo il trail.
Tornerò a camminare mercoledì pomeriggio, se tutto va bene, o al più tardi giovedì. Partirò da solo, ma è assai probabile che incontri altri hiker che faranno il mio stesso giro. Mi sto sforzando molto di non prendere la decisione definitiva di finirla qui perché sono convinto che me ne pentirei se non camminassi neppure un giorno in Washington. Non m’importa più per quante e quali miglia, voglio solo poter dire di aver percorso un pezzo del PCT anche in questo stato, e poi me ne tornerò a casa contento. Non m’importa neppure di arrivare al Northern Terminus, e ciò potrebbe suonare pazzesco: non è il motivo per cui ho deciso di camminare per cinque mesi? La risposta è no, non lo è mai stato, è sempre stato un’altra cosa: è l’obiettivo che mi sono posto all’inizio, ad aprile, quando ho guardato per l’ultima volta il Terminus gemello al confine con il Messico.
So che continuare a ripetere che mi manca la motivazione suona come un capriccio infantile. Però è la pura verità. Forse il fatto di essere completamente da solo, di dover contare solo su me stesso per ogni cosa, mi sta pesando più di quanto credessi. Il vero problema di questa situazione è che sto cercando di fare dei piani futuri basandomi sullo stato emotivo e mentale di adesso: una previsione completamente inaffidabile. Domani andrò a Portland, mi farò un giro in città martedì e sbrigherò qualche commissione, ma so che sto dilazionando il momento in cui devo tornare a camminare. Eppure sarebbe così semplice dire basta e organizzare il rientro, ma non sono in grado di farlo per il motivo sopra: mi pentirei di non averci provato, di non essermi fidato di me stesso, di aver ritrovato una paura che credevo di aver superato.
C’è anche un’altra cosa, un altro fenomeno che accade quando sei in città. La città è dispersiva, frammenta qualunque cosa, inclusi i gruppi di hiker più solidi. Quindi ti senti solo, ti senti come se avessi perso la tua famiglia, ti senti abbandonato. Non mi piace vivere la solitudine in questo modo.
Mi ricordo ancora benissimo il giorno in cui mio padre mi accompagnò all’aeroporto, il 4 aprile scorso. Quando mi salutò alle partenze di Milano-Malpensa, mi disse: “quando sei stanco, torna a casa”. Non mi ha detto “quando arrivi alla fine”. Quando sei stanco, torna a casa. Io adesso sono abbastanza stanco, credo di aver vissuto tutto quello che cercavo, di aver imparato molto più di quello che pensavo, e sono certo di portarmi a casa un bagaglio inestimabile di esperienze, nuove abilità, più mature consapevolezze. Andrò avanti, raggiungerò questo traguardo molto vicino alla fine geografica di questo percorso soltanto per poter dire a me stesso che ce l’ho fatta un’altra volta, che mi sono messo in testa un obiettivo e l’ho raggiunto. Non che abbia bisogno di dimostrare nulla a nessuno, ma ho bisogno di fare anche questo sforzo, di riuscire ad arrivare fino a questo punto per poter dire “adesso posso davvero tornare a casa. Voglio tornare a casa.”