Andare e tornare
Non arriverò in Canada, è ufficiale. Ho dovuto cambiare programma al volo stamattina, prima di arrivare ad Harts Pass, l’ultimo trailhead che mi separa dalla fine vera, ossia geografica, di questa lunga, lunga avventura.
Non arriverò in Canada perché sono senza un permesso di ingresso valido, e il motivo è semplice: ho mandato la richiesta troppo tardi, quindi pagherò questo ritardo rifacendo un pezzo di trail due volte. Trenta miglia contro le circa otto che mi sarebbero servite per arrivare a Manning Park, in British Columbia. Non sono però neanche mai entrato in Messico, quindi la situazione è abbastanza simmetrica.
Oggi pensavo che è persino più poetico arrivare al terminus, salutarlo, voltarsi e tornare indietro. Perché è quello che farò: tornerò finalmente a casa – passando per Seattle e Vancouver.
Leggevo in una newsletter arretrata di qualche mese fa:
Andare significa mettersi alla prova, abbandonare la propria comfort zone e lanciarsi in balia di territori totalmente inesplorati dalla nostra memoria. C’è la voglia di scoprire opportunità nuove e inaspettate, accettando anche la possibilità concreta di ritrovarsi alla fine del viaggio con un pugno di emozioni accartocciate.
Tornare è invece spesso visto come un ripiego o una ritirata, oppure ciò che bisogna fare quando abbiamo esaurito il tempo a disposizione – per esempio, di una vacanza. Ma questa non è una vacanza.
[…] Riflettendoci, tornare comporta anche il saper accettare che i luoghi, così come le persone, cambiano. Accettando il fatto che quello che ricordavamo potrebbe non esistere neanche più.
[…] Tornare significa anche dovere affrontare le conseguenze di chi siamo diventati.
Non so ancora dire quanto io sia cambiato, che persona diversa tornerà da questo viaggio. Sono sicuro che qualche cambiamento sia avvenuto perché ho dovuto affrontare me stesso e difficoltà esterne più e più volte. Penso che altre persone – famiglia e amici – potrebbero aiutarmi a capire meglio quale Edoardo, soprannominato Singer ancora per un giorno, rientrerà in Italia tra circa una settimana. Ci vorrà del tempo per capirlo e vorrei prendermi tutto quello che mi serve.
Incrociando hikers che già tornavano dal confine, quasi tutti mi salutavano con “congrats”, come se avessi appena conseguito una laurea. “Ma che cosa ho fatto”, mi chiedevo. Non l’ho ancora realizzato, ma un indizio concreto ce l’avrò domani, a circa quattordici miglia dal luogo in cui ho piazzato la tenda per la penultima volta.