E adesso?
Era ciò che li aveva spinti a lottare per il loro sogno, ed era ciò che faceva andare avanti me, e altre centinaia di escursionisti su lunga distanza, nei giorni più duri. Non aveva nulla a che fare con l’attrezzatura né con le calzature o la moda del trekking, niente a che vedere con filosofie di un’epoca particolare e neppure con il fatto di andare dal punto A al punto B. Aveva a che fare soltanto con la sensazione che ti dava stare nella natura. Con ciò che significava camminare per chilometri senza altra ragione se non vedere il succedersi di alberi e prati, montagne e deserti, torrenti e rocce, fiumi ed erba, albe e tramonti. Era un’esperienza potente e fondamentale.
Cheryl Strayed, “Wild”
7 giorni di cammino, più di 120 chilometri percorsi (includendo le due vette, Cima d’Asta e Monte Mulaz), 7300 metri di dislivello positivo e 6500 metri di dislivello negativo. Potrei aggiungere i dati delle calorie bruciate, del numero di passi, o qualsiasi altra metrica, ma nessun numero renderebbe l’idea dell’esperienza “potente e fondamentale” che è stata questa traversata trentina, dalla Val di Fiemme alla Val Cordevole sul Sentiero Italia CAI.
Il blog che abbiamo aggiornato qui (quasi) quotidianamente ha provato a raccogliere sensazioni, pensieri, e alcune foto durante il trekking; abbiamo dovuto aspettare qualche giorno dopo averlo concluso per poter maturare dei pensieri a riposo. Frequento la montagna da anni e l’ho fatto in molti modi diversi, ma l’esperienza del trekking su lunga distanza per me è diventata la scelta prediletta per esplorarla, anzi, per conoscerla davvero. Anzitutto, c’è il tempo trascorso in ambiente, a volte assai variegato come su questo tratto del Sentiero Italia. Si parla di acclimatarsi solo quando si sale in verticale, soprattutto quando la meta è una vetta a una certa quota. Io credo che anche lungo un percorso perlopiù orizzontale serva un tempo simile. Un trekking lungo, anche solo un centinaio di chilometri, non si svela tutto subito, richiede pazienza e anche un po’ di dolore, non soltanto quello del corpo. Ti insegna davvero che cos’è un chilometro e cosa significa “mettere un piede davanti all’altro”. E poi andare avanti, percorrere quello successivo e quello dopo ancora. Tutto perché muoversi lentamente, a passo d’uomo, è un modo a cui siamo molto meno avvezzi nel mondo moderno, dove i chilometri riusciamo a consumarli a velocità incredibili rispetto a un secolo fa.
Un trekking di questo tipo mi ha dato anche l’occasione di mettere in pausa tutto ciò che non aveva direttamente a che fare con il trekking. Sarà un’ovvietà applicabile a qualunque vacanza, ma la mia esperienza dei sette giorni di cammino è stata davvero totalizzante, e non si è trattato solo di non avere (quasi) mai una connessione a internet per comunicare come siamo abituati oggi.
E poi ci sono le persone che puoi avere il tempo e l’occasione di conoscere durante un trekking del genere, a cominciare da quelle con cui decidi di pianificare il percorso. Sono fortunato a conoscere Federico, ormai compagno fisso di diverse avventure in montagna. So già che con lui c’è la sintonia ideale per questo tipo di vacanza, dove la soddisfazione è la fatica che devi metterci per portare a casa tutti i chilometri della tappa. Grazie Fede per aver scelto di organizzare e condividere anche questo trekking!
Sono preziosi anche gli incontri fortuiti con persone sconosciute che camminano lungo percorsi diversi dal tuo e con altre mete. Dalla bidella trentina a cui piace camminare in solitaria agli studenti di geologia in giro per i campionamenti; dagli scout con uno zaino da venticinque chili a quelli che fanno trail running e viaggiano ultraleggeri. La vita del rifugio, poi, nel condividere la cena con persone che non hai mai visto o raccontarsi la giornata davanti a una grappa prima che il bar chiuda, ti convince che forse siamo tutti lì per lo stesso scopo.
Anche se non abbiamo più da raccontare Cosa ci aspetta domani1, possiamo già anticipare quali sono i progetti in cantiere, o perlomeno quelli a cui abbiamo pensato o stiamo considerando da un po’ – anche a costo di mescolare una buona dose di sogni.
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Ci sono almeno altre due sezioni del Sentiero Italia che ci incuriosiscono parecchio: quella tra Piemonte e Val d’Aosta e quella che dal Piemonte porta in Lombardia, più o meno dove l’anno scorso abbiamo cominciato l’Alta Via dell’Adamello.
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Quest’anno sul Sentiero Italia abbiamo attraversato una varietà incredibile di ambienti montani, boschivi, rocciosi. Ma quello che ci è rimasto più nel cuore è il selvaggio Lagorai. Abbiamo scoperto che esiste la Translagorai, 5 giorni e poco meno di 80 chilometri immersi in questo ambiente quasi incontaminato, e non poteva che entrare di diritto nella lista Dove vorremmo andare prossimamente? L’idea che ci stuzzica di più è fare questo percorso in autonomia, ossia in tenda e bivacchi.
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Per ultima – ma solo perché, per adesso, si tratta di un’idea di progetto escursionistico che richiederà preparazione e allenamento (il problema al ginocchio mi ha insegnato qualcosa) – l’intenzione più ambiziosa di tutte: percorrere un tratto del Pacific Crest Trail, un lunghissimo2 trekking scenico che segue l’intera costa ovest degli Stati Uniti, dal Messico al Canada attraversando California, Oregon, e Washington. L’intero percorso è davvero un’impresa titanica non da poco, ma già progettare e riuscire a realizzare un paio di mesi di cammino su quel percorso è indubbiamente tra i miei3 sogni di long distance hiker.
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Anche perché stiamo scrivendo questa pagina ben tre settimane dopo la conclusione del trekking. ↩︎
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Senza alcun intento di stilare una classifica, il Pacific Crest Trail si sviluppa per un totale di 4270 km, sfiorando i 4000 metri di quota nel punto più alto. L’intero Sentiero Italia CAI copre ben 6170 km. ↩︎
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Ho soltanto sondato l’interesse di Federico a questo progetto. Non si è sbilanciato, ma mi pare che l’idea l’abbia incuriosito quanto basta. ↩︎