Oggi passo di Muir, l’ultimo di quelli considerati impegnativi. Perché? Per via della quota (sopra i tremila e seicento metri) e quindi per la neve. Sapevamo che ci sarebbe stata, non sapevamo però quanta. Dopo meno di un’ora di cammino, abbiamo dovuto inventarci dove andasse il sentiero sotto la neve. Abbiamo scarpinato su per le rocce attorno a un fiume, cercando la via più breve per salire al Lago Helen. Era preoccupante quando la neve passava direttamente sopra un fiume: non sapevi quanto fosse zuppa e se ci avesse retto a camminarci sopra. Ci siamo fidati diverse volte e ci è andata bene (anche perché abbiamo seguito tracce altrui, per quanto possibile).

Io mi sono reso conto che al mattino ho bisogno di qualcosa di più sostanzioso come colazione; la mia razione di avena arricchita con frutta secca e altra roba non basta. Infatti, dopo neanche un’ora di salita, ho dovuto mangiarmi metà della barretta proteica con cui di solito riesco ad arrivare fino a mezzogiorno. È sempre il solito problema: il cibo come energia. Ci basterà? Stiamo mangiando abbastanza bene?

Arrivati al passo, troviamo un rifugio di fortuna – un bivacco diremmo in Italia – che ci ricorda subito una cosa nostra: i celebri trulli pugliesi. Ridiamo in due perché l’idea è venuta a entrambi, ma è inequivocabile la somiglianza. Entrando nel bivacco, leggiamo su una targa di bronzo che il rifugio è davvero “ispirato alla tradizione italiana del trullo” (traduzione letterale dalla targa).

La vera sfida sia mentale che fisica della giornata è iniziata dopo il passo. Neve, neve a non finire. Ormai in fase terminale, mezza liquefatta in superficie, faticosa e bagnata. Discesa e poi salita; e poi ancora discesa, poi un giro attorno a un lago e dopo un altro ancora. Non so dire se abbia davvero apprezzato camminare in quelle zone; immagino che ad agosto, quando forse si sarà sciolta tutta quella neve, io purtroppo ho fatta troppa fatica per godermelo. In totale, avremo camminato quasi sedici chilometri su neve, tra salita e discesa. Quando il trail ha cominciato a scendere un po’ più rapidamente, anche la neve si è ridotta a piccole aree poco esposte, e un altro panorama di laghi e torrenti ci ha regalato delle belle occasioni fotografiche: era la Evolution Valley, la valle che dà il nome all’omonimo fiume, uno dei due più critici da guadare. Noi però non dovremo farlo perché domani mattina faremo una deviazione obbligata per evitare un ponte danneggiato dalle piene del 2023. L’Evolution creek si getta nel San Joaquin, e il ponte su questo enorme torrente è stato demolito per evitare che la gente lo adoperasse lo stesso. Senza ponte non è umanamente possibile guadare il San Joaquin: ecco il perché della deviazione, di cui racconterò meglio domani.

Pensando che arriveremo venerdì sera al Vermillion Valley Resort, ho realizzato che non ricordo l’ultima volta in cui è trascorsa un’intera settimana senza aver accesso a internet. Nulla, niente di niente. News, musica, podcast, o qualsiasi altra risorsa più o meno utile. Sembra di essere isolati? Forse un po’, ma le giornate sono ugualmente piene. E poi ho una caterva di puntate di podcast o audiolibri scaricati tempo fa: c’è solo l’imbarazzo della scelta per riempire il tempo, ma anche oggi ho ascoltate solo un paio di cose: una vecchia puntata di “Ci vuole una scienza” sulle zanzare – molto in tema visto che in questa Evolution Valley è pieno – e un altro paio di “Stories”, giusto per rimanere aggiornato su qualcosa (che sarà ormai vecchio).

Sto davvero imparando parecchie cose: non solo a razionare il cibo come non ero certo abituato a fare, ma che non ci rendiamo neanche conto di quante cose possiamo fare meno. E non significa che allora dobbiamo eliminare tutto il superfluo, ma che dobbiamo sempre fare attenzione a quanto (e perché) di questo superfluo lasciamo entrare nella nostra vita e prendere un pezzetto di spazio.

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