Ho raccontato dell’idea del libro sia a Giulio (non me lo ricordavo) sia a Maríka. Due persone molto diverse, due opinioni altrettanto diverse. Maríka mi ha consigliato un libro che non ho ancora letto ma attorno a cui ho ronzato parecchio: il primo libro di Benjamin Labatut, “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”. Ne hanno parlato anche in una puntata speciale di “Comodino”, che avrei voluto riascoltare ma me ne sono reso conto quando ormai non c’era più segnale per scaricarla. In compenso, ho trovato l’audiolibro in inglese su Audible, ma oggi non avevo troppa voglia di cominciarlo. Comunque, il suggerimento di Maríka era sulla costruzione del libro: un’alternanza tra fiction, aneddoti (anche questi in buona parte inventati), e accadimenti reali sulla storia della fisica del primo ‘900. La parte di dettagli inventati, specie sulle biografie di alcuni scienziati ben noti (tipo Schrödinger o Einstein) è ciò che ha disturbato di più Dario Bressanini, ospite della puntata di “Comodino”. In breve: non puoi mescolare finzione narrativa e saggistica senza dirmi quali sono i confini, le regole del gioco. Perché io lettore credo a ciò che leggo, ma in modi molto diversi se si tratta di pura finzione o di un saggio. Posto che non credo di essere in grado di scrivere bene quanto Labatut, ma l’equilibrio tra le due forme devo cercarlo anch’io. Questo progetto è veramente solo all’inizio, ne parlerò e scriverò ancora molto.

Ho pensato parecchio oggi alla mancanza di motivazione che sento negli ultimi giorni, più o meno dopo la partenza da South Lake Tahoe. Forse è proprio ciò che si racconta in blog e libri dopo aver conclusa la Sierra: il North Cal blues. Non lo so, può essere, o forse è solo la mancanza di un traguardo tanto atteso perché la Sierra fa sbiadire tutto ciò che si trova dopo di lei. Eppure anche questa sezione è ricca di scorci interessanti, vette famose da fotografare, città che vale la pena visitare anche solo brevemente.

Durante una puntata di un podcast di cui ho ascoltata solo una parte, Dino Lanzaretti1 dice una cosa che suona fin troppo ovvia, ma è anche molto vera: ciò che mi manda avanti è l’anticipazione di quell’emozioni che so che arriveranno quando giungerò al traguardo. È l’attesa, la consapevolezza di stare facendo fatica per qualcosa che sicuramente mi ripagherà. E lo so perché l’ho già fatto. Lui paragona – scherzosamente – questa rincorsa a una persona dipendente da qualche sostanza psicoattiva: non importa quanto forte sia stato l’ultimo sballo, è sempre alla ricerca di un’altra dose, e a volte questa ricerca restituisce emozioni più forti che l’assumere la dose tanto agognata.

Io adesso non so dire cosa mi mandi avanti. Posso contare solo sul desiderio di arrivare al confine con l’Oregon2 quanto prima e chiudere con la California. Voglio arrivare a quel punto, vorrei essere là ora. Ma anche pianificando di saltare una grossa parte, non posso accelerare il tempo: devo rimettermi a camminare per tutti i giorni che serviranno, fare quella fatica tutte le volte che servirà, e usare il desiderio di essere là in quel punto come carburante mentale, l’unico che possa davvero funzionare.

🌎 Where am I?


  1. Personaggio di cui ho già parlato qui e anche qui↩︎

  2. Sempre sperando che un incendio che ha costretto a chiudere il trail a circa cento miglia dal confine non peggiori drasticamente nei prossimi giorni, evento assai probabile vista l’estensione dell’incendio ad oggi: circa 8’000 acri, ossia 32’000 chilometri quadrati. ↩︎