Astinenza
Mi sono messo a scrivere molto tardi alla fine di questa giornata di quasi riposo a Sierra City. Era nei piani di non fermarsi più del tempo necessario per svolgere le ormai abituali commissioni. Peccato che un pacco contenente le cene per i prossimi sei giorni non sia arrivato, quindi ci siamo dovuti arrangiare accorciando la distanza al prossimo pit-stop: faremo tre giorni fino a Quincy (circa sessanta miglia da Sierra City), più o meno a metà strada per Chester, poco dopo il punto di mezzo del trail. Quello sarà anche il momento in cui io saluterò la California e, come ancora non lo so, arriverò in Oregon entro la fine di luglio. Su questo non si discute, e non solo perché agosto sarà l’ultimo mese di aspettativa. Sono davvero stanco di camminare in California, voglio cambiare stato, cambiare scenario, anche se ci saranno milioni di cose considerate imperdibili in queste ultime miglia (alcune centinaia) californiane. Però basta, ci ho passato davvero troppo tempo.
Oltre che una giornata molto calda, è stata relativamente noiosa: ho dovuto sistemare due spedizioni che non sarebbero arrivate in tempo, incluso il nuovo paio di scarpe. Dovrò camminare in quelle attuali fino a Chester, quindi credo più di cento chilometri. Arriverò o forse supererò gli ottocento anche con queste. Tutto sommato stanno reggendo bene, salvo la capacità di ammortizzare certi terreni più sconnessi.
Giornate tipo oggi sono anche le migliori occasioni per socializzare perché si incontrano nuovi e vecchi hiker, oppure si ha l’occasione di parlare con qualcuno che sta più avanti o indietro. Io ho chiacchierato per venti minuti buoni con un uomo sulla sessantina che mi ha chiesto subito se venissi dall’Italia quando mi ha sentito parlare con Fabio. Scopro così che è colui che qui chiamano Uncle Rob, proprietario e gestore dell’unico hotel di Sierra City. È più un ostello dai prezzi molto abbordabili, spartano e molto vecchio, ma più che sufficiente per persone che abitualmente dormono per terra su un materassino gonfiabile (a volte) e sotto un telo di sottile plastica (non sempre).
Rob mi ha raccontato le sue origini italiane: il suo bisnonno era italiano, e si trasferì in America – in Wisconsin prima, poi in Wyoming – all’inizio del ‘900, dieci anni prima della guerra. Comprò un terreno che diventò un ranch indipendente – suo bisnonno coltivava e allevava ciò che gli serviva – ed è ancora oggi della sua famiglia. Nonostante incontri molti hiker, era interessato a sentire la mia esperienza. Si è stupito dei racconti sulle tragiche zanzare della Sierra o dei guadi nei grossi fiumi in piena; mi ha chiesto come avessi gestito il caldo del deserto, e quando gli ho detto di avere un ombrello si è lanciato in una proposta per una nuova tecnologia: perché non rivestire gli ombrelli per il sole di un pannello solare così da caricare batterie e altri aggeggi elettronici? Bella idea, ma non credo siano ancora commerciabili dei panelli flessibili con un’efficienza decente. Mi ha anche raccontato dei suoi prossimi progetti: quando venderà l’attività dell’hotel vorrebbe continuare a contribuire al trail: vorrebbe mettere in piedi una stazione mobile con alcuni servizi tipo lavanderia e appostarsi per dei periodi lungo il trail. Magari aggiungere anche la possibilità di tagliare barba e capelli a chi vuole farlo da sé. Posso dire per esperienza diretta che sono entrambe ottime idee. Oppure gli piacerebbe trasferirsi da suo fratello, in Arizona, che vive un po’ come faceva il suo bisnonno, off-grid diremmo oggi. È stata una bella chiacchierata, che mi ha fatto rischiare di perdere l’ultima ora in cui potevo comprare del cibo all’unico store del paese. Mi dispiace ancora una volta di non aver scattata una foto con Uncle Rob. Gli auguro il meglio per i suoi progetti futuri.
Speriamo che il caldo di domani e domenica sia accettabile, anche se dovrebbe diminuire nei prossimi giorni. Ci aspetta una salita notevole di quasi otto chilometri e mille metri di dislivello per arrivare fino alle pendici delle Sierra Buttes, che non so bene come si pronunci. Proveremo a partire prima del solito orario per sfruttare la frescura mattutina, ma il segreto, se così possiamo chiamarlo dopo quasi duemila chilometri, è sempre e solo uno: bisogna solo mettere un passo dietro l’altro.
Trentaquattro chilometri lungo una parte di sentiero abbastanza noiosa e dannatamente arida, a cui si aggiungono le alte temperature di questi primi giorni di luglio: c’è un’ondata di calore che durerà almeno fino a sabato, mentre domenica dovrebbe mollare un po’.
Se il sentiero è noioso – forse perché annoiato sono io, come scrivevo due giorni fa – non significa che la giornata lo sia altrettanto. Ho pensato di nuovo al progetto del libro1 e ho ascoltato parecchia roba, fra cui:
- Una puntata di “TG Luna” sulle notizie del giorno, che fa sempre ridere anche quando le news sono tutt’altro che divertenti.
- Un paio di episodi meno recenti di “Stories” in cui Cecilia Sala raccontava del disastroso dibattito televisivo tra Trump e Biden. Un’altra in cui illustrava il profilo di un personaggio, scrittore americano, che vorrebbe diventare il vicepresidente di Trump, se dovesse vincere a novembre, dopo aver detto e scritto qualsiasi cosa contro di lui prima di buttarsi in politica. Esempio della coerenza delle persone di cui si circonda il criminale bugiardo che potrebbe tornare a coprire la carica politica più importante al mondo.
- Ho riascoltata una vecchia puntata di “Comodino” in cui Dario Breassanini diceva la sua sul libro di Labatut, che ho scaricato dalla mia libreria personale e vorrei provare a leggere.
- Ho quasi concluso la terza stagione di “Mi dica tutto”, la serie di Storytel che mette in scena delle sedute di psicoterapia. Ora anche la psicologa, Diana, comincia a sbottonarsi un po’ di più, e noi riusciamo a conoscerla meglio, fuori dello studio e le sue conversazioni con i pazienti. Tra alti e bassi, rimane un podcast interessante che consiglierei.
Quando diamo al cervello molti (spesso troppi) input, è normale che fatichi a produrre pensieri originali; si limita a processare ciò che gli diamo in pasto. Ho ancora quella riflessione sul senso di una thru-hike di cui vorrei scrivere, ma oggi ho anche fatto due piani molto provvisori sulla fine di questo viaggio: quando vorrei arrivare alla fine del Washington, quanto stare a Vancouver, e come organizzare poi il difficile rientro alla vita normale da circa metà settembre in poi. Ormai ho capito benissimo di come i piani sul PCT siano fragili, ma mi serve avere almeno un paio di coordinate temporali rispetto a cui orientare i piani settimanali di quanto camminare e soprattutto a che punto dovrei essere entro una certa data. Ormai lo so che sarà necessario saltare diverse miglia – probabilmente alcune centinaia – ma non credo che nessuno mi verrà a dire che no, io non ho veramente fatto il PCT perché non sono passato da Mount Shasta o perché non ho camminato nella parte centrale dell’Oregon. Fa ridere solo a pensarci.
Intanto: domani arriviamo a Sierra City abbastanza presto, in tempo per una seconda colazione (o un pranzo in anticipo), per ritirare i pacchi che speriamo arrivino (le mie scarpe non credo proprio), e per fare il solito rifornimento per i prossimi giorni. Ci sarà anche tempo per qualche ora di sano riposo, sperando che il caldo non ci faccia soffrire troppo.
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Non ho per ora nulla da aggiungere, eccetto un suggerimento di titolo da parte di Lorenzo: “Lezioni di fisica per un viaggiatore”. È un bel titolo, va detto. Grazie del suggerimento! ↩︎